Le politiche di austerity varate per risanare i conti pubblici, hanno aumentato le tasse ed esposto la popolazione a un crescente rischio di povertà.
È quanto emerge dallo studio dell'Associazione artigiani e piccole imprese di Mestre, che ha analizzato la relazione fra tagli allo stato sociale e aumento delle imposte, e l'aumento del rischio di povertà in Italia.
Si tratta di un fenomeno che ha colpito molti paesi mediterranei, ma che in Italia ha fatto sentire particolarmente i suoi effetti: nel giro di 10 anni, dal 2006 al 2016, il rischio di povertà ed esclusione sociale è passato dal 25,9 al 30 per cento, con un incremento di poco più di 4 punti. Le persone in difficoltà e deprivazione sono passate da 15 a 18,1 milioni. Un fenomeno che ha colpito indistintamente tutti i ceti sociali, e in particolare le partite iva.
La disoccupazione continua a rimanere sopra l'11 per cento, con il 6 per cento pre crisi, gli investimenti sono scesi di oltre 20 punti e a soffrire maggiormente ancora una volta il sud del paese: in Sicilia, Campania e Calabria quasi un cittadino su due è al di sotto della soglia di povertà.
L'area con le condizioni migliori è invece quella della provincia di Bolzano, dove la soglia di povertà è addirittura scesa nel periodo in esame, passando dall'11 per cento del 2006 al nove e mezzo del 2016, sotto il venti per cento anche Lombardia, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Toscana ed Emilia Romagna.
Tutto questo a fronte di un aumento della pressione tributaria che sfiora il 30 per cento del Pil, la quota più elevata rispetto a paesi come Francia, Austria, Regno Unito, Germania o Spagna. Una situazione opposta a quella della spesa sociale, dove l'11,9 per cento del Pil dell'Italia è superiore solo alla quota della Spagna, che ha però una pressione fiscale di sette punti inferiore.
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