Dite che il congiuntivo "quando ci vuole ci vuole"? Siete sicuramente nel giusto. Sostenete che sia giusto non rinunciare al congiuntivo? In questo caso siete purtroppo in errore. Perché col verbo "sostenere" le grammatiche raccomandano un semplice indicativo: dunque, "sostenete che è giusto". Il congiuntivo è di troppo. Ed è solo uno dei tanti esempi di quello che una linguista che se ne intende, Mariarosa Bricchi, ha battezzato 'congiuntivite', un malanno - non dei più gravi, certo - che affligge la nostra lingua. E i cui sintomi si manifestano nei testi più diversi: romanzi, articoli di giornali, perfino nella comunicazione istituzionale si possono trovare congiuntivi in esubero. In linguistica si chiama ipercorrettismo, in altre parole dipende da un'ansia da prestazione. È l'effetto a cui porta la nostra paura di non saper usare quello che nell'opinione comune è il più elegante, il più colto e però anche il più complicato dei modi verbali, considerato l'alfa e l'omega del parlare bene.
Insomma, se qualcuno pensava che il congiuntivo fosse morto, adesso avrà un motivo in più per ricredersi. Come molti altri studi stanno lì a dimostrare, il congiuntivo è ben vivo, anche se non sempre è usato in maniera impeccabile.
Mariarosa Bricchi, linguista che insegna all'Università di Pavia, ha dedicato alla 'congiuntivite' un capitolo del suo libro "La lingua è un'orchestra" (il Saggiatore), un'agile guida alla bella scrittura, ricca di suggerimenti per maneggiare la lingua con precisione e fantasia. A partire dalla consapevolezza che l'italiano ha molte varietà, "non è uno, ma tanti", e che queste varietà occorre saperle riconoscere e governare. Come un'orchestra, appunto.
Ornella Rossetto