La commissione d’inchiesta sul “caso Ischgl” venne costituita in giugno, per iniziativa del Land Tirolo. Il suo compito era chiarire cosa era accaduto a Ischgl nel marzo scorso, quando nella località sciistica austriaca fu per giorni taciuto il diffondersi del Coronavirus tra le migliaia di ospiti provenienti da tutta Europa e non solo, che poi a loro volta avrebbero portato il virus nei loro paesi.
Nel suo rapporto la commissione per prima cosa contesta il ritardo da parte degli organi di vigilanza nell'ordinare la chiusura degli impianti di sci e della stagione invernale che sarebbe dovuta avvenire almeno una settimana prima.
Le accuse più pesanti, però, vengono mosse al cancelliere Sebastian Kurz che, nonostante sapesse che a livello locale non fosse ancora pronto un piano di chiusura e sgombero, annunciò tra le varie misure anti-Covid l'indizione di una zona rossa nei comuni di Ischgl e Saint Anton, con la conseguente diffusione del panico tra gli ospiti che a quel punto abbandonarono in modo disordinato la zona.
Critiche anche al ministero della salute, che pur essendo a conoscenza del pericolo di contagio, non avrebbe predisposto e reso pubblico un piano per affrontare la pandemia, senza rivedere neanche l'antiquata legge sull'epidemia in vigore in Austria.
Assolti, invece, i vertici politici del Land che, secondo la commissione, non avrebbero fatto pressioni al fine di mantenere aperti gli impianti sciistici.
La vicenda, però, non si chiude qui visto che è ancora in corso l’inchiesta giudiziaria della Procura di Stato di Innsbruck avviata da una class action, che ha raccolto l’adesione di 6000 persone da 45 paesi.
Barbara Costamagna