Poco più di 400 chilometri di tubi, che dal confine con la Bulgaria attraversano tutta la Serbia per arrivare fino ad Horgos, sulla frontiera con l'Ungheria. La sezione serba del gasdotto “BalkanStream” è stata inaugurata ufficialmente a inizio anno dal presidente Aleksandar Vucic, in una cerimonia tenuta a Gospodijnci, non lontano da Novi Sad.
“E' un giorno importante per la Serbia”, ha detto Vučić, prefigurando uno scenario di accresciuta sicurezza energetica per il paese, entrate economiche derivanti dalle tasse di transito sugli idrocarburi, prezzi del gas significativamente più bassi e la possibilità di estendere la connessione non solo a buona parte del paese, ma anche alla Bosnia Erzegovina.
“BalkanStream” è la continuazione sul suolo balcanico del progetto “Turkish Stream” che trasporta gas russo in Turchia attraverso il Mar Nero, bypassando così le tradizionali infrastrutture energetiche in Ucraina, con cui Mosca ha rapporti contrastati dopo l'annessione russa della Crimea e la guerra nel Donbass.
Il nuovo gasdotto è quindi oggi in grado di rifornire almeno sei paesi dell'area: insieme alla Serbia, Bulgaria, Macedonia del nord, Romania, Grecia e Bosnia Erzegovina. A pieno regime, la Serbia dovrebbe riceve quasi 14 miliardi di metri cubi all'anno.
L'espansione della rete di distribuzione russa nella regione non è però gradita a tutti: nel luglio scorso, il segretario di Stato americano Mike Pompeo aveva puntato il dito contro “BalkanStream” definendolo esplicitamente “uno strumento del Cremlino” per aumentare la dipendenza energetica europea da Mosca.
Francesco Martino