Foto: BoBo
Foto: BoBo

Si tratta di una prassi ormai pluridecennale, in Italia, quella di candidare i leader politici all'Europarlamento in modo da raccogliere più voti possibile, ben consci però che sugli scranni di Strasburgo non si siederanno mai, lasciando il posto a qualche altro nome presente in lista.

Un male antico, che risale già al 1994 quando furono 24 i candidati civetta, con il caso eclatante di Silvio Berlusconi, che da presidente del Consiglio in carica si candida alle elezioni europee. Prassi che ripeterà successivamente nel 2004 (quando si presentò anche il suo vicepresidente Gianfranco Fini) e nel 2009. ma non si tratta degli unici casi, anzi, da leader di partito, per fare un esempio, sempre nel 2004 si presentarono Oliviero Diliberto, Marco Follini, Clemente Mastella, Alfonso Pecoraro Scanio ed Achille Occhetto; nel 2009 fu la volta di Antonio Di Pietro, con il risultato di mandare in fumo milioni di preferenze italiane nel corso degli anni.

Più recentemente, nel 2019, Matteo Salvini, ministro dell’Interno, fa da capolista per la Lega in tutte le circoscrizioni. Solo nel Nord Ovest raccoglie 696.027 voti, ma al suo posto a Strasburgo ci va Marco Campomenosi con 17.788 preferenze. Fa da civetta, come presidente di Fratelli d’Italia, anche Giorgia Meloni che solo nel Nord Ovest raccoglie 92.850 voti, ma poi cede il posto a Pietro Fiocchi, che di preferenze ne ha solo 9.300.

Un'abitudine prettamente italiana se osserviamo le liste degli altri Paesi membri della Ue, dove non figurano candidati-civetta, ad eccezione di Croazia ed Olanda.
L'ex premier croato Andrej Plenković, attualmente alla ricerca di una maggioranza per ottenere il proprio terzo mandato, è infatti candidato capolista per le Europee con il suo partito Unione democratica croata (Hdz), mentre l'olandese Geert Wilders, leader di estrema destra fondatore del Partito per la Libertà (Pvv), in corsa come candidato di bandiera. Già nel 2014 e nel 2019 è stato eletto al Parlamento europeo ma poi non c'è andato.

Davide Fifaco