Questa mattina i rappresentanti bosgnacco e croato della presidenza tripartita bosniaca, Šefik Džaferović e Željko Komšić, hanno rifiutato platealmente di partecipare all'annunciato incontro col ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov - in visita ufficiale a Sarajevo - ricevuto invece con tutti gli onori dal membro serbo Milorad Dodik.
Lo scandalo diplomatico evidenzia ancora una volta le fratture che attraversano la Bosnia Erzegovina a venticinque anni dalla firma del trattato di pace di Dayton - che nel dicembre 1995 mise ufficialmente fine al conflitto armato tra serbi, croati e bosgnacchi.
Ieri Lavrov non aveva risparmiato commenti ed obiezioni da parte di Mosca – tradizionalmente vicina alle posizioni serbe - sulla situazione in Bosnia, ribadendo che per la Russia è inaccettabile qualsiasi modifica agli accordi del 1995, che molti analisti e politici occidentali ritengono oggi un ostacolo al funzionamento e all'integrazione europea del paese.
Il ministro degli Esteri russo aveva poi criticato la permanenza in Bosnia dell'Ufficio dell'Alto rappresentante - incaricato di sorvegliare l'applicazione degli stessi trattati di pace – definito da Lavrov “un'interferenza negli affari interni della Bosnia Erzegovina”.
Per Komšić posizioni che “esprimono mancanza di rispetto nei confronti della Bosnia”, mentre per Džaferović il rifiuto di incontrare Lavrov manda “un messaggio chiaro alla Russia e al mondo”. “Parlare di rimozione dell'Alto rappresentante”, ha dichiarato Džaferović, “significa appoggiare chi vuole lo smembramento della Bosnia Erzegovina”.
Venticinque anni più tardi, la Bosnia resta quindi ancora divisa lungo le linee – etniche e diplomatiche - segnate dalla guerra degli anni '90 e mai sanate dalla pace di Dayton.
Francesco Martino