Ischgl è una ridente località sciistica del Tirolo, famosa per le sue piste e anche per la sua vita notturna. Tra la fine di febbraio e i primi di marzo questo ameno paesino austriaco, come al solito, era pieno di amanti degli sport invernali provenienti da tutta Europa.
Nonostante i segnali di allarme che giungevano da ogni dove, per una settimana e più la vita è continuata normalmente tra una sciata ed un bombardino, con la connivenza delle autorità sanitarie del Land che in quei giorni hanno chiuso un occhio o anche due. Così il virus a partire da questo minuscolo puntino sulle mappe delle montagne austriache si è diffuso in Europa con migliaia di persone infettate in tutto il nord del continente e nei vicini paesi dell’est.
Solo dopo dieci giorni, quando la notizia del focolaio si era ormai diffusa anche fuori dai confini nazionali, le autorità locali hanno finalmente deciso di dichiarare la vallata “zona rossa”, lasciando tra l’altro centinaia di turisti arrangiarsi da soli per scappare dall’incubo in cui si trovavano a vivere.
Sulla vicenda questa settimana si è finalmente aperta un’inchiesta, dopo, che è stato mosso un esposto da parte di una dipendente di un’azienda di Ischgl che si è ammalata nei primi giorni di contagio; alla quale, però, non è stato fatto il tampone nonostante i sintomi tipici del Coronavirus, ignorando quindi quelle che erano le indicazioni generali.
Ormai non si può dire se la donna fosse contagiata o meno, ma l’illecito starebbe nel fatto di non aver predisposto i controlli necessari. Un caso minore, che potrebbe fare da apripista ad altre denunce, ma che non mette ancora sul banco degli imputati i ritardi e le omissioni della Direzione sanitaria del Land, che anche dopo le segnalazioni inviate da alcuni Stati esteri che avevano dichiarato i Ischgl “zona a rischio”, non hanno bloccato il polo sciistico.
Il governatore del Land e l'assessore alla Sanità da parte loro continuano a dire di aver agito nel modo migliore e di non sentirsi responsabili di nulla.
Barbara Costamagna