È passata appena una settimana dalla condanna definitiva all'ergastolo per il generale serbo-bosniaco Ratko Mladić, giudicato colpevole all'Aja per l'uccisione di 8000 bosgnacchi a Srebrenica nel 1995, ma l'onda lunga della guerra in Bosnia Erzegovina continua a dividere.
Questa volta le polemiche hanno investito il Montenegro, dove venerdì il ministro della Giustizia Vladimir Leposavić è stato sfiduciato dopo aver affermato che avrebbe considerato Srebrenica come "genocidio" solo dopo che questo verità "sia stata incontrovertibilmente dimostrata". Il ministro ha poi dichiarato che le sue affermazioni sono state citate fuori contesto, senza però riuscire a far rientrare le polemiche.
Preso alla sprovvista, il premier Zdravko Krivokapić ha chiesto l'accantonamento di Leposavić, soprattutto per non mettere a rischio il percorso di avvicinamento all'UE del paese. Oltre a sfiduciare il ministro, il parlamento di Podgorica ha passato una legge che condanna il genocidio e punisce gli episodi di negazionismo.
Tutte iniziative che hanno attirato commenti discordanti a livello internazionale, con reazioni positive da parte di UE e politici bosgnacchi e critiche come quelle espresse dal presidente serbo Aleksandar Vučić.
A tremare, però, è soprattutto la coalizione di governo in Montenegro, che l'anno scorso è riuscita a spezzare trent'anni di dominio politico del presidente Milo Djukanović. La componente filoserba all'interno della maggioranza ha infatti votato contro le indicazioni del premier, che sono passate in parlamento proprio grazie ai voti dei socialisti di Djukanović. Una situazione di tensione, che rischia di avere forti ricadute sulla coalizione di governo.
Francesco Martino