La Serbia entra nella sua ultima settimana di campagna elettorale per parlamentari 2020, inizialmente previste a fine aprile, ma rimandate al 21 giugno a causa della crisi pandemica di COVID-19.
Le consultazioni politiche di domenica prossima saranno però le meno combattute degli ultimi anni: buona parte dell'opposizione che ha infatti optato per il boicottaggio e il trionfo per il Partito progressista serbo del presidente Aleksandar Vučić è scontato.
Lo stesso Vučić, chiamando alle urne i sei milioni e mezzo di cittadini serbi con diritto di voto, ha fissato l'obiettivo per il suo partito, che domina la scena politica a Belgrado da quasi un decennio: ottenere la maggioranza assoluta in parlamento.
Paradossalmente, col boicottaggio dell'Alleanza per la Serbia, la principale forza di opposizione, il problema per Vučić e i suoi alleati sarà convincere gli interlocutori internazionali che la Serbia rappresenta ancora un sistema democratico funzionante, e non un “regime ibrido” come recentemente denunciato dal think-tank statunitense “Freedom House”.
Nonostante un tentativo di mediazione del Parlamento europeo, l'opposizione ha infatti deciso che non esistono le condizioni minime per un confronto democratico, denunciando controllo dei media e pratiche anti-democratiche da parte della coalizione di governo.
E col boicottaggio al centro dello scontro politico, la campagna ha lasciato finora poco spazio alle delicate questioni che attendono la Serbia nel prossimo futuro: la gestione del dopo coronavirus e la riapertura dei complessi negoziati col Kosovo, fondamentali per il percorso di avvicinamento all'Unione europea.
Francesco Martino
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