Doveva esserci una svolta, e invece, le relazioni tra Bulgaria e Macedonia del nord rimangono tese. A cambiare le carte in tavola doveva essere il nuovo premier bulgaro Kiril Petkov, in carica dal dicembre 2021, che ha promesso un approccio pragmatico alle divisioni tra Sofia e Skopje.
I due paesi sono ai ferri corti per irrisolte questioni storiche e culturali, che un trattato di buon vicinato sottoscritto nel 2017 non è riuscito a risolvere. Un'impasse che nel 2020 ha spinto Sofia a porre il veto all'apertura dei negoziati europei per Skopje.
I primi passi di Petkov promettevano una soluzione rapida alla scottante questione, vista con crescente fastidio nelle cancellerie europee, che puntano a stabilizzare i Balcani occidentali, soprattutto dopo l'invasione russa dell'Ucraina.
A complicare le cose però, sono emerse profonde divisioni nella coalizione di governo bulgara. Il movimento populista “C'è un popolo così”, che controlla il ministero degli Esteri, è infatti fautore di un approccio più duro nei confronti di Skopje, ed ha accusato il premier di tradire gli interessi nazionali sulla questione.
La stessa ministra degli Esteri, Teodora Genchevska, ha ribadito la settimana scorsa che ogni passo in avanti è condizionato a “garanzie macedoni per la minoranza bulgara in Macedonia del nord”.
La strada europea di Skopje resta quindi in salita. Non solo: l'Albania, il cui dossier di integrazione Ue è legato a quello macedone, potrebbe chiedere di poter procedere da sola in caso di nuovo veto bulgaro nei confronti di Skopje.
Francesco Martino