È stato un vero e proprio pogrom antisiriano quello esploso mercoledì scorso nel quartiere di Altındağ nella capitale turca Ankara. Dopo l'uccisione di un giovane turco, accoltellato a morte durante una lite con rifugiati, centinaia di persone hanno preso d'assalto case, macchine e negozi appartenenti a membri della comunità siriana. Le violenze sono durate tutta la notte, portando a numerosi feriti e all'arresto di almeno 76 persone.
Il violento episodio segnala le crescenti tensioni in Turchia tra locali ed immigrati, soprattutto rifugiati siriani, che secondo le stime nel paese sono oggi più di tre milioni e mezzo. Tensioni alimentate dalla difficile situazione economica, resa ancora più instabile dal perdurare della pandemia da Covid-19.
Molti turchi esprimono crescente intolleranza verso la massiccia presenza di rifugiati, e il tema immigrazione sta arroventando sempre più il dibattito politico: nei giorni scorsi Kemal Kilicdaroglu, leader del Partito repubblicano del popolo, principale forza dell'opposizione, ha soffiato sul fuoco, promettendo di rimandare in Siria i rifugiati in caso di vittoria alle prossime politiche, previste nel 2023.
Molti rifugiati in realtà avrebbero voluto proseguire il proprio viaggio verso l'Europa, ma sono stati bloccati in Turchia dall'accordo sottoscritto da Ankara e Bruxelles nel 2016. E ora, con la fuga di centinaia di migliaia di persone dall'Afghanistan in fiamme, la situazione potrebbe farsi ancora più complicata: il governo turco, intanto, ha annunciato la costruzione di un muro di quasi trecento chilometri al confine con l'Iran, per provare a contenere il fenomeno.
Francesco Martino