Ne ha conosciute molte di tragedie il Novecento, il “secolo breve”, due guerre mondiali, il nazismo, la persecuzione fascista, quindi la repressione comunista. Lo scrittore Boris Pahor, ormai sulla soglia dei suoi 107 anni, racconta la sua vita con il cuore in mano e con l’aiuto di una memoria di ferro. Narra quanto fu dolorosa l’epidemia di un secolo fa, quando anche dalle nostre parti imperversava la “spagnola”, la quarantena, la morte della sorellina Mimica, proprio a seguito del contagio. Lo scrittore riflette anche sul dramma della pandemia di oggi, sulla moltitudine di lutti, sui sopravvissuti in difficoltà per le conseguenze economiche della pandemia. A questo proposito rilancia la sua idea di un Parlamento universale, votato al perseguimento della giustizia sociale. Occorre un accordo globale, dice Pahor, per cambiare il modo di vivere dell’uomo su questa Terra. Sono le proposte di un uomo che dall’alto dei suoi 106 anni di età ricorda un evento in particolare, essendone stato testimone diretto, che segnò tutta la sua vita di uomo: le fiamme fasciste che il 13 luglio 1920 avvolsero a Trieste il Narodni dom, la Casa della cultura slovena. Ho un solo traguardo, aggiunge, vivere fino al prossimo 13 luglio per testimoniare al presidente italiano e a quello sloveno da dove nasce una nuova pace, cioè una nuova Europa, una nuova Terra. Considero, osserva ancora Boris Pahor, quella del prossimo luglio la mia ultima missione. E’ il traguardo di resistenza in vita che ancora mi pongo. Un tassello di vita che gli auguriamo sinceramente di vivere. Fin qui, l’esistenza dello scrittore è stata intensa, drammatica, avventurosa e attiva.
Miro Dellore