Ad un passo dalla fine del suo mandato, previsto a fine luglio, l'Alto rappresentante per la Bosnia Erzegovina Valentin Inzko ha utilizzato le sue prerogative per imporre emendamenti legislativi che colpiscono chi nega o glorifica crimini di guerra e contro l'umanità, compreso il genocidio di 8mila bosgnacchi a Srebrenica compiuto nel luglio 1995 dalle forze serbo-bosniache comandate dal generale Ratko Mladic.
Inzko, che negli ultimi anni è rimasto piuttosto defilato, ha spiegato la sua iniziativa sostenendo che una vera riconciliazione non può prescindere dall'assunzione di responsabilità.
La decisione, però, ha prevedibilmente sollevato reazioni forti e contrastanti. Se i leader politici bosgnacchi e croati l'hanno lodata, parlando di un “atto di civiltà”, Milorad Dodik, rappresentante serbo alla presidenza tripartita l'ha respinta senza mezze misure, definendola “il chiodo che sigilla la tomba della Bosnia Erzegovina” e non esitando a minacciare, come già successo in passato, una possibile dissoluzione del paese.
Uno scontro che si acuisce dopo il fallito tentativo di Russia e Cina di abolire la figura stessa dell'Alto rappresentante, istituita con il trattato di Dayton per vigilare sul processo di pacificazione della Bosnia Erzegovina. Per Mosca -che appoggia apertamente l'entità serba della Republika Srpska - l'Alto rappresentante non serve più e anzi rallenta la normalizzazione del paese.
Ecco perché il Cremlino, appoggiato dalla Cina, giovedì scorso ha presentato una risoluzione per abolire di fatto la carica, respinta però dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Dal 1° agosto a sostituire Inzko sarà il tedesco Christian Schmidt, candidato poco gradito dalla Russia.
Francesco Martino