Inverni sempre più miti, precipitazioni sempre più scarse e montagne sempre più verdi e marroni anche di Inverno. Questo è il quadro che si sta delineando in modo sempre più netto negli ultimi decenni, nei quali in molti casi le piste da sci sono aperte ricorrendo ai cannoni sparaneve. E anche questa soluzione vale oramai solo sulle località alpine, mentre su catene più basse come gli Appennini fa troppo caldo persino per la neve artificiale. Gli esperti ipotizzano che tra pochi decenni (forse già dal 2036) sciare sarà difficile, se non impossibile, anche sulle Dolomiti.
D'altronde anche la produzione di neve artificiale comporta il ricorso a grandi quantità di acqua; e può avvenire solo a determinate condizioni metereologiche o, nel caso dei macchinari più innovativi, con un maggiore dispendio di energia. In tempi di crisi idrica, però, non è scontato avere acqua a sufficienza da destinare alla produzione di neve artificiale: proprio per questo motivo in alcune località sciistiche alle pendici del Monte Bianco non si sta facendo ricorso ai cannoni sparaneve. Alcuni esperti ipotizzano che i costi elevati dell’innevamento artificiale, traducendosi in un maggiore costo degli skipass, renderanno lo sci alpino uno sport ancora più da ricchi.
La crisi climatica, quindi, sta mettendo in ginocchio l’industria dello sci e del turismo invernale, e molti si stanno chiedendo se ha ancora senso investire in questo settore o se invece non sarebbe meglio riqualificare le località montane, proponendo nuove attività. Su questo si lavora in Francia dove si sta pensando ad una riconversione turistica, ma anche in Italia dove si sta riflettendo su come lasciare sopperire al venir meno del turismo sciistico, destagionalizzandosi e cercando di attirare turisti interessanti soprattutto al relax, alle tradizioni culinarie locali e al benessere.
Una sfida nuova per il turismo montano che, avvertono gli esperti, non può più permettersi di ignorare la crisi climatica in corso e le sue conseguenze a medio termine.
Barbara Costamagna