“Il destino dei Balcani occidentali è nell'Unione europea”: è questo il mantra che ha accompagnato la politica di Bruxelles verso la regione almeno a partire dal summit di Salonicco del 2003, quando venne solennemente promessa la graduale integrazione di tutti i paesi dell'area.
Da allora, però, molte cose sono cambiate, e dopo un graduale approfondimento della “fatica da allargamento”, quella promessa non sembra più poggiare su basi troppo solide.
Anche il prossimo summit UE-Balcani occidentali previsto il prossimo 6 ottobre a Brdo presso Kranj sotto la presidenza di turno slovena, conferma profonde divisioni a livello comunitario e una vena di pessimismo per il futuro.
Secondo le indiscrezioni rese pubbliche dall'agenzia Reuters, una dichiarazione che intende ribadire il destino europeo della regione si è scontrata con la strenua resistenza di alcuni paesi dell'Europa centro-settentrionale, che vedono sempre meno di buon occhio nuovi allargamenti, dopo le esperienze problematiche di integrazione di paesi come Romania e Bulgaria.
A rafforzare dubbi e resistenze sono arrivate anche nuove tensioni nella regione, come il rinnovato scontro tra Serbia e Kosovo, sfociato nei giorni scorsi in un'escalation rientrata solo dopo la mediazione di Bruxelles e Washington, ma anche il veto posto negli ultimi mesi dalla Bulgaria all'apertura dei negoziati con la Macedonia del nord per complesse questioni storiche, linguistiche e culturali.
Se l'obiettivo del summit di Brdo è rilanciare davvero prospettive reali di integrazione per i Balcani, la strada sembra quindi tutta in salita: almeno nel breve periodo, è davvero difficile pronosticare passi avanti significativi.
Francesco Martino