Il tema stato riportato in primo piano da uno studio pubblicato in settimana dal Sole 24ore, quotidiano economico italiano, ma si tratta di un problema ormai antico e sul quale gli Stati europei stentano a trovare un accordo, perfino su un provvedimento elementare come la Web Tax.
I colossi del Cloud e delle vendite online, Google, Amazon, Facebook, giganti del commercio orientali come Alibaba, ma anche altre grandi multinazionali come Starbucks, operano in Europa, fanno profitti, ma nel vecchio continente lasciano solo le briciole in tasse.
Fra il 2014 e il 2018 i giganti del web hanno risparmiato oltre 49 miliardi di euro di tasse in Europa, giocando sul fatto che le sedi legali risiedono in paesi dove la tassazione è particolarmente favorevole, pur operando stabilmente su altri territori. Non si parla di paradisi fiscali classici: in Europa ad esempio la Apple pagherebbe lo 0,7 per cento dei suoi profitti sfruttando le regole irlandesi, trasferendo le sedi legali nel paese. Stessa cosa per Starbucks, Microsoft, Google, Facebook, AirBnB e Pfizer che avrebbero sfruttato un trattato tra Irlanda e Malta per risparmiare sulle tasse.
Per dare un’idea delle dimensioni del fenomeno nel 2018 il fatturato complessivo dei primi 25 gruppi informatici ha toccato quota 850 miliardi di euro, la metà di Amazon, Google, e Microsoft, ma la percentuale di tasse pagate in Europa è stata inferiore al 14 per cento.
Guardando all’Italia ad esempio su 2,4 miliardi di euro fatturati, le aziende del WebSoft hanno versato al fisco italiano un totale 64 milioni, meno del 3 per cento.
Una situazione a cui l’Europa sembra stentare a trovare una soluzione e che crea casi paradossali come quello del cantante Ed Sheeran, che lo scorso anno in gran Bretagna ha pagato più tasse di Starbucks e Amazon: 5,2 milioni di sterline rispetto ai 4,5 versati da Amazon e ai 3,3 milioni di Starbucks.
Alessandro Martegani