Erano le 23 del 15 luglio 2016 quando reparti militari iniziavano ad occupare posizioni nevralgiche ad Ankara ed Istanbul, dando inizio ad un tentato golpe contro il presidente Recep Tayyip Erdoğan. Nel corso della notte, dopo scontri violentissimi tra i militari golpisti e la folla scesa in piazza a favore di Erdoğan, il colpo di stato fallì, dopo aver lasciato sulle strade 250 morti, più di duemila feriti e un paese profondamente diviso.
A cinque anni di distanza, la Turchia non è ancora riuscita a lasciarsi alle spalle quei momenti drammatici. Ripreso il controllo del paese, Erdoğan non ha perso tempo per fare i conti col leader religioso Fehtullah Gülen - da lunghi anni residente negli Stati Uniti - accusato di essere la mente dietro al fallito golpe.
Giustificando le proprie azioni per difendere l'ordine costituzionale, il presidente turco ha progressivamente ristretto gli spazi di libertà nel paese, attraverso leggi introdotte durante lo stato di emergenza post-golpe. Da allora 300mila persone sono state arrestate per presunti legami con il movimento di Gülen, mentre 150mila dipendenti pubblici sono stati licenziati per lo stesso motivo. Le purghe continuano fino ad oggi: la settimana scorsa ad Izmir sono stati emessi 229 ordini di cattura nei confronti di militari. E la caccia ai “gülenisti” coinvolge anche i paesi vicini. Proprio in occasione del quinto anniversario, ad esempio, la Turchia ha chiesto alla Macedonia del Nord l'estradizione di venti persone, accusate di essere vicine a Gülen.
Francesco Martino
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