Con poco meno dell'85% dei voti conteggiati, Israele ha deciso per un ritorno al potere di Benjamin Netanyahu dopo 5 tentativi elettorali in 3 anni e mezzo che gli consegneranno un paese prigioniero dell'incertezza politica.
"King Bibi", come viene chiamato dai suoi sostenitori, ottiene così una vittoria storica festeggiata fino a tarda notte nelle strade di Gerusalemme. Il suo Likud dovrebbe ottenere 32-33 seggi, dieci in più del partito del premier uscente Lapid.
Alcune proiezioni attribuiscono alla coalizione guidata da Netanyahu almeno 65 dei 120 seggi del parlamento, quindi per governare sarà necessaria una decisa svolta a destra per premiare l'elettorato ultra-conservatore. La vera sopresa di questo voto, infatti, è il partito Sionismo religioso, un'organizzazione ultranazionalista i cui leader hanno acquisito notorietà per aver utilizzato la retorica anti-araba e per aver sostenuto la deportazione di politici o civili considerati "infedeli" alla causa israeliana. Il leader Itamar Ben Gvir ha già reclamato il ministero di Pubblica sicurezza, con l'obiettivo di annettere l'intera Cisgiordania, dove si è recato in elicottero a votare, senza concedere diritti ai palestinesi. Ben Gvir ha promesso inoltre di attenuare le regole di ingaggio per soldati e agenti e picconare la Corte Suprema, baluardo della costituzionalità israeliana. Sarà difficile fare a meno di quei seggi, ben 14 rispetto ai 6 dell'ultima elezione, e la preoccupazione già serpeggia fra Stati Uniti e Paesi del Golfo, che hanno ammonito l'ex (e futuro) premier che l'ingresso al governo di Ben Gvir avrà ricadute negative sugli Accordi di Abramo, che avevano sancito una normalizzazione diplomatica dei rapporti di Israele con Emirati Arabi e Bahrein.
Eclatante anche il dato sull'affluenza. Si tratta infatti delle urne più affollate dal 1999.
Valerio Fabbri