Foto: EPA
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Decisiva, per sbloccare una norma tanto innovativa quanto contestata, è stata la decisione dell’Austria di votare a favore: in settimana i ministri dell'Ambiente dell’Unione europea hanno trovato l'accordo sul regolamento proposto dalla Commissione nel lontano giugno 2022, che prevede non solo la difesa dell’esistente, ma anche il ripristino delle aree naturali già degradate.
Si tratta di un passo in più rispetto alle attuali politiche ambientali, che si limitavano a proteggere l’esistente, ed è parte integrante della strategia di Bruxelles per realizzare la transizione ecologica e per rispettare gli impegni previsti dall'accordo di Kunming-Montreal sulla biodiversità.
Nel regolamento sono previste tre fasi: entro il 2030 dovrà essere oggetto di misure di ripristino il 30 per cento di ogni ecosistema, terrestre e marino; questa quota salirà al 60 per cento dopo 10 anni, per arrivare al 90 per cento nel 2050.
Tutto molto bello, ma ancora una volta il percorso dipenderà dalle azioni dei governi nazionali, che dovranno mettere a punto dei piani di ripristino e riferire periodicamente alla Commissione europea. Per andare incontro alle preoccupazioni sulla sicurezza alimentare, nel 2033 è prevista la possibilità per la Commissione di rivedere e valutare l'applicazione del regolamento e il suo impatto sui settori agricolo, della pesca e forestale.
Una tabella di marcia a dir poco impegnativa, che rischia di cozzare anche contro grandi interessi, su tutti quelli degli agricoltori, e che aveva incontrato una fiera opposizione da parte di alcuni governi come quello Italiano, che ha votato contro insieme a Ungheria, Paesi Bassi, Polonia, Finlandia e Svezia; il Belgio si è astenuto, e l’Austria ha cambiato posizione all’ultimo votando a favore dopo aver inizialmente annunciato l’astensione, e innescando fra l’altro una spaccatura nel governo di Vienna, che ha anche annunciato un ricorso alla Corte di Giustizia Europea per far annullare il voto, un’azione che però per Bruxelles non avrebbe fondamento.
Per ora però, salvo esito di eventuali ricorsi, il sì austrico ha consentito di raggiugere il quorum necessario, vale a dire15 Stati su 27, che rappresentino almeno il 65 per cento della popolazione dell’Unione europea.

Alessandro Martegani