A livello europeo l’accordo è stato trovato, ma la nuova formula del Mes, su cui anche il Parlamento italiano dovrà esprimersi, non sembra aver convinto i critici del cosiddetto Fondo Salvastati, il “prestatore di ultima istanza” per i paesi dell’area euro in difficoltà.
Questo strumento, un organismo intergovernativo separato dall’Unione europea, è intervenuto negli anni passati in Grecia, Cipro e Spagna, ed era stato accusato di comportare impegni eccessivi ai paesi che ne facevano richiesta. L'articolo 3 del trattato istitutivo, invariato nella riforma, prevede che le risorse vengano erogate “con condizionalità rigide”. Il principio è semplice: per ottenere i fondi del Mes bisogna rispettare alcune condizioni di fondo, soprattutto riguardo il debito pubblico, e seguire criteri d’uso e parametri finanziari che saranno verificato dall’Unione Europea.
La riforma, concordata nel 2019 ma approvata solo ora a casa delle difficoltà politiche dell’Italia, giunge in piena pandemia, con la necessità di aiuti immediati ai paesi con le economie sotto stress, ma non ha nulla a che fare con il Pandemic Crisis Support, la linea di credito dedicata all’emergenza coronavirus, attivata per rispondere alle emergenze immediate causate dalla pandemia, che come prerequisito richiede solo che i fondi vengano utilizzati per spese direttamente connesse all’emergenza sanitaria.
Il testo introduce il cosiddetto “Backstop”, una linea di credito che interviene per sostenere le banche in difficoltà, nel caso il Fondo Unico di Risoluzione, già esistente, si trovi a corto di risorse, e che può essere attivata anche a maggioranza, anche se molto qualificata.
La riforma punta poi a rendere più immediate ed efficaci le linee di credito del Mes (Precautionary Conditioned Credit Lines e le Enhanced Conditions Credit Line) per evitare il ripetersi del caso della Grecia, in cui la rigidità del meccanismo aveva fatto attivare i fondi in ritardo, peggiorando la situazione e richiedendo più risorse. Per accedere alle linee di credito, che in realtà servono più a dare fiducia e quindi a evitare che un paese finisca alle soglie del fallimento piuttosto che ad essere realmente utilizzate, come una sorta di assicurazione, i paesi però devono rispettare in una serie di parametri finanziari, soprattutto sul debito pubblico, e siglare delle lettere d’intenti, anche se con obiettivi meno stringenti dopo la riforma, con cui si impegnano a rispettare alcune condizioni: in caso contrario il credito può essere interrotto.
A questo si aggiungono le modifiche alle “clausole di azione collettiva” (Collective Action Clauses), che consentono di cambiare, a maggioranza, le condizioni contrattuali dei titoli di stato e rendere più facili le ristrutturazioni dei debiti sovrani dei paesi in difficoltà: un altro punto che ha innescato le critiche delle forze sovraniste, che hanno paventato un controllo da parte di Bruxelles sul debito sovrano nazionale.
Alla luce della situazione sanitaria in Europa, è possibile che le regole vengano allentate nell’immediato futuro, ma il testo risente comunque dell’influenza dei paesi del nord Europa, che chiedono garanzie su dati e riforme per concedere i fondi. Proprio da questo originano le critiche degli altri paesi e delle forze sovraniste, che contestano la condizionalità e anche il meccanismo di voto a maggioranza assoluta degli Stati, che disinnesca il diritto di veto e condizionerebbe le scelte interne dei paesi che accedono al Mes.
A gennaio la riforma verrà firmata a livello comunitario, ma visti i malumori sembra che la vera partita sarà quella della ratifica da parte dei parlamenti nazionali di tutti i 19 Stati membri, necessaria per far entrare in vigore il trattato.
Alessandro Martegani