Uno sguardo un po’ malinconico allo spirito sportivo del passato, qualche preoccupazione, ma anche la determinazione nel riuscire a limitare per quanto possibile l’impatto sullo sport dilettantistico della recente entrata in vigore della nuova riforma dello sport in Italia.
Ha viaggiato su questi tre binari il confronto organizzato ieri sera al Kulturni Dom di Gorizia fra Edy Reja, giocatore ma soprattutto allenatore di Calcio, alla guida di molte squadre di serie A, fra cui anche Napoli e Lazio, (e anche un’esperienza come mister della nazionale albanese e più breve nel Gorica), e Giorgio Brandolin, presidente regionale del Coni, fra i più fieri oppositori della riforma che ribalta totalmente il modo di gestire le società sportive, ponendo tutte le associazioni dilettantistiche, da quelle di serie A di basket all’associazione di paese, sullo stesso piano.
Entro fine anno anche le più di duemila associazioni dilettantistiche presenti in Friuli Venezia Giulia, dovranno cambiare gli statuti, fare dei contratti ai propri collaboratori, affrontare aggravi di spese e burocrazia. È un processo, ha detto Brandolin, unico presidente regionale del Coni che si è apertamente opposto alla riforma, che rischia di schiacciare le società amatoriali, e su cui il Coni regionale sta cercando di correre ai ripari e offrire sostegno alle associazioni
Quello che non va, ha aggiunto, è la filosofia di fondo, che tratta le grandi società con gli stessi criteri di quelle piccole, e dimenticando temi fondamentali come le scuole, che dovrebbero essere il vero motore della cultura sportiva e fucine dei campioni di domani.
“Sono decenni che si parla di sport nelle scuole – dice Brandolin -: tutte balle, non abbiamo fatto letteralmente niente. Io l'ho fatto da dieci anni in regione Friuli Venezia Giulia: coi soldi della Regione mando ad esempio ragazzi laureati a Gemona a fare attività motorie nelle scuole elementari, ma siamo una goccia in un mondo dove non si è fatto niente. Bisogna fare impianti sportivi vicino alle scuole, cosa che non c'è in gran parte del nostro paese, bisogna mettere soldi per incentivare a fare attività sportiva del pomeriggio, con 6, 5 o almeno 4 ore nella scuola primaria, e bisogna investire, metter soldi. Mi sembra che questo governo, come quello prima, come quello prima ancora, non abbia alcuna intenzione di metterci dei soldi, che probabilmente adesso neanche ci sono, però è questo il grande dramma”. “La promozione sportiva la facciamo noi, con le piccole società sportive, ma ora devono fare i conti con figure professionali e chi le paga queste figure professionali? È questo il non senso di questa riforma, che non affronta il vero problema, che è lo sport nelle scuole, come fanno tutti i paesi dell'est e del centro Europa, così come nei paesi anglosassoni con i college. Se non si fa questo, credo che ogni tipo di riforma, compresa questa farà del male allo sport e non del bene”.
E che il mondo dello sport sia ormai totalmente cambiato, e non in meglio, lo ha confermato anche Reja, che ha fatto un paragone fra la cultura sportiva dei paesi nella ex Jugoslavia, che, ha detto, hanno atleti più forti mentalmente, che pensano sempre a battere il diretto avversario, e quella in Italia, dove invece “facciamo fatica a trovare giocatori per le squadre di vertice: non c’è più la voglia di giocare per strada, a causa dei videogiochi, dei cellulari che di fatto impediscono le relazioni fra gli atleti e la costruzione di un gruppo, anche fra i professionisti, e in parte anche per i genitori che sono troppo pressanti e presenti, e non lasciano crescere emotivamente i ragazzi: non dovrebbero – ha detto - andare a vedere le partite dei figli”.
“Anche nella mia breve sperienza a Nova Gorica – ha aggiunto - forse ho sbagliato, ho chiesto cose che i giocatori non mi potevano dare, ma accettare cose che non mi vanno – ha aggiunto - non fa parte del mio carattere”.
Ora questa riforma complica ulteriormente le cose, soprattutto per la gestione delle piccole società, che al nord hanno a disposizione anche buone strutture, ha detto Brandolin, e fondi (in Friuli Venezia Giulia i fondi per lo sport sono stati quadruplicati dalla Regione arrivando a 140 milioni), ma che rischiano di non poter far fronte agli adempimenti e alle regole imposte da una riforma che ha passato tre governi e attende ancora ben cinque decreti attuativi entro dicembre.
“Cambierà tutto - ha spiegato - perché l'inserimento di questa figura del lavoratore sportivo equipara il professionista al dilettante: non c'è distinzione, e solo questo dovrebbe far capire le assurdità di questa riforma e di chi l'ha fatta. Lo sport cambierà perché c'è una logica differente, si vuole ufficializzare che nel mondo dello Sport adesso ci solo figure professionali e che quindi il volontariato, la disponibilità della gente a far gratuitamente o quasi gratuitamente tutto ciò che sappiamo hanno fatto in questi decenni per lo sport nazionale e regionale è finito. Io ho grande preoccupazione: il rischio è che le piccole società spariscano e rimangano soltanto le grandi società”.
Alessandro Martegani