Da una parte l’annuncio della restituzione del Narodni Dom alla comunità slovena, dall’altra esibizioni di gesti e canti fascisti in pieno centro.
È la realtà di Trieste che prosegue la strada verso la convivenza e l’elaborazione delle lacerazioni del passato.
Proprio mentre da Gerusalemme il Presidente Borut Pahor e l’omologo italiano Sergio Mattarella annunciavano, per il 13 luglio prossimo, la cerimonia di restituzione alla comunità slovena dell'ex Narodni Dom, edificio dato alle fiamme dai fascisti proprio il 13 luglio del 1920 e attualmente sede della Scuola per traduttori e interpreti, la giornalista del Primorski dnevnik, quotidiano della comunità slovena, Poljanka Dolhar, ha raccontato un episodio vissuto direttamente: un gruppo di persone, festeggiando un compleanno in un pub del centro, si si è esibito all’interno e all’esterno del locale, in manifestazioni di stampo fascista. Braccia tese, canti, e anche qualche intimidazione verso la collega e i suoi amici.
Trieste è molto migliorata rispetto a 30 anni fa, si tratta di un episodio, ma Poljanka Dolhar invita a non sottovalutare i segnali di una ripresa dell’intolleranza e dell’ideologia fascista.
“Il clima – dice - è sicuramente migliorato: se penso agli anni in cui ero bambina o adolescente, quindi 30 anni fa, non c'è paragone. Forse anche per questo ci sono rimasta molto male quando quella sera a Trieste ho vissuto un po' sulla mia pelle il fascismo nei simboli e nelle parole. Non avevano problemi a cantare “Boia chi molla” in centro città, all'uscita da un locale. Sicuramente non sono una di quelle che dice che Trieste è una città fascista, o che è difficile vivere in questa città se sei sloveno, assolutamente no, però diciamo che il clima è po' cambiato: credo sia la conseguenza del fatto che la mentalità fascista, i simboli, sono stati un po' sdoganati negli ultimi anni a livello nazionale”.
“Mi viene in mente un altro episodio recente che rientra in questo clima: in questi giorni stavo realizzando due pagine del giornale dedicate ad Auschwitz, abbiamo trovato una superstite che aveva già raccontato la sua storia, che era anche già stata pubblicata, ma che, adesso, ha chiesto di non riportare il suo nome e cognome perché ha paura”.
Secondo te anche episodi del tutto diversi, come la scarsa attenzione alla presenza della lingua slovena negli auguri di Natale o sugli alberi in piazza Unità, sono un segno del clima che cambia, oppure semplice incuria?
“No, questi casi credo siano da addebitare alla scarsa attenzione, alla poca sensibilità al fatto che siamo bilingui. Lo stesso penso accada dall'altra parte dell’ex confine, credo che anche la comunità italiana in Slovenia e in Croazia abbia spesso questa sensazione. Chi è bilingue ovviamente ha più a cuore la questione del rispetto della propria lingua madre, che è ovviamente diversa dalla lingua maggioritaria. Un po’ sorprende e dispiace che nel 2020 si mettano gli auguri in 20 lingue del mondo, ma non nella lingua parlata da una parte della città, ma sono sicura che questo non è un fatto voluto, ma piuttosto una mancanza di sensibilità”
I presidenti Pahor e Mattarella hanno annunciato l’attesa restituzione del Narodni dom alla comunità slovena di Trieste. Questo è un atto simbolicamente molto forte, ma avrà effetti anche sulla vita sostanziale della comunità slovena e della città?
“È sicuramente un passaggio molto importante. Diciamo subito che nella comunità slovena pochi credono che questo succederà entro il 13 luglio 2020, il centenario dell'incendio del Narodni dom. Credo che l’iter sarà molto più lungo. In ogni caso si tratta di un fatto molto positivo, ovviamente anche molto simbolico, ma molto positivo, che apre però una serie di domande: chi sarà il proprietario di questo edificio? Chi pagherò la sua ristrutturazione completa? In questo momento l’edificio è adibito a università, con decine e decine di aule e uffici per i professori e c'è un grande lavoro da fare". "Si apre anche la questione su cosa ne farà la comunità slovena: io penso, e mi sembra che questo sia un po' il sentire comune, che il Narodni Dom dovrebbe ritornare ad avere il ruolo che aveva avuto tra il 1904 e il 1920, essere un centro polifunzionale, dove c'erano dal caffè alla biblioteca, dalla palestra alla scuola di musica, agli uffici privati. Anche alcuni avvocati per esempio avevano i loro studi all’interno del Narodni dom. Tutte queste attività dovrebbero essere presenti all'interno di questo bellissimo edificio, senza dimenticare che era sicuramente la casa degli sloveni di Trieste ma non solo, e all'interno avevano spazio anche eventi della comunità croata e della comunità ceca e slovacca, che all'epoca erano molto forti in città. Sono convinta che lo stabile debba essere restituito agli sloveni, ma penso anche che debba aprire le porte alle altre comunità presenti a Trieste”.
Alessandro Martegani
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