Dubbi da parte dell’Europa, dubbi di compatibilità con il diritto costituzionale e comunitario, interrogativo su come gestire trasferimenti e campi, e anche una presunta frattura nella maggioranza.
Se lo scopo era quello di stimolare il dibattito politico-istituzionale, l’obiettivo dell’accordo fra Italia e Albania sulla realizzazione di campi di detenzione per migranti in terra albanese, annunciato a gran voce da Giorgia Meloni, è stato pienamente raggiunto.
Il piano ideato dalla Premier rappresenta un’assoluta novità: nessuno avena mai proposto o pensato di realizzare dei campi per ospitare i migranti all’esterno dell’Unione europea ma con una gestione in carico a un paese comunitario, un paese che fra l’altro, fino a oggi, con diversi governi e maggioranze, aveva sempre ribadito il concetto che quello delle migrazioni è un tema europeo, che va gestito in ambito comunitario. Da questo punto di vista l’idea della premier rappresenta un deciso cambio di rotta.
Al di là delle accuse piovute sulla maggioranza da parte di opposizioni e organizzazioni umanitarie, il sistema, peraltro non ancora definito, presenta oggettivamente qualche aspetto critico dal punto di vista organizzativo: portare i migranti in Albania richiede un viaggio di giorni, sottraendo le navi della Marina militare al servizio nel canale di Sicilia, e non si capisce poi chi e in che modo gestirebbe i campi, che dovrebbero esser realizzati a spese dell’Italia, né come verrebbe organizzata separazione delle competenze fra Italia e Albania.
Non va meglio se si guarda agli aspetti giuridici: questa sorta di “esternalizzazione” della gestione di migranti, (che fra l’altro sarebbero selezionati inviando in Italia bambini, donne incinte e soggetti fragili, e portando in Albania gli altri, cosa non consentita dalle norme europee), pone infatti dei seri problemi di rispetto delle norme costituzionali italiane in tema di asilo, della Convenzione di Ginevra del 1951 e di quella europea dei diritti dell’uomo. Uno scenario come quello prefigurato, limiterebbe di fatto l’esercizio dei diritti dei migranti, e si presterebbe a una valanga di ricorsi giudiziari.
Del resto, c’è anche il precedente del Regno Unito, che ha cercato di realizzare dei campi in Ruanda, incontrando però il blocco da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo e della Corte d’appello britannica, che ha ritenuto il piano contrario al diritto internazionale perché il Ruanda non offre garanzie di rispetto dei diritti umani.
Se l’obiettivo dunque era quello di allontanare il problema dal paese, e gestire la questione più liberamente, la strada appare in salita, anche perché a Bruxelles sembrano non aver gradito affatto la fuga in avanti di Giorgia Meloni: “Siamo stati informati di questo accordo, - ha detto una portavoce della Commissione - ma non abbiamo ancora ricevuto informazioni dettagliate: l'accordo operativo – ha aggiunto - deve ancora essere tradotto in legge dall’Italia e ulteriormente implementato, ma è importante che qualsiasi accordo di questo tipo rispetti pienamente il diritto comunitario e internazionale”.
Anche all’interno della stessa maggioranza però la mossa della premier sembra aver creato malumori, peraltro smentiti dai diretti interessati, come il leader della Lega Matteo Salvini che sui social ha esaltato l’accordo. “Bene il governo, che ha siglato un accordo per trasferire in Albania gli immigrati clandestini che cercano di entrare nel nostro Paese”, ha scritto su X. “L’Italia non è il campo profughi d'Europa: Tirana l'ha capito e merita un sincero ringraziamento, Bruxelles ancora no”.
Alessandro Martegani