Il caffè italiano per il momento non correrà per diventare, come già accaduto per la pizza, patrimonio immateriale dell'Unesco: la doccia fredda è arrivata in settimana, dopo che, al termine di una non facile trattativa, era stato raggiunto un accordo ed era stata consegnata una candidatura unica, superando le rivalità di città come Napoli o Trieste, che rivendicavano il ruolo di capitale della tradizione dell’espresso.
Il capoluogo giuliano è tradizionalmente uno snodo importantissimo per il mercato del caffè in Europa (nel nord est Italia arrivarono i primi sacchi di caffè dopo l’assedio di Vienna da parte dei turchi), è sede della Illy, uno del marchi di caffè più importanti al mondo, e rivendica una delle tradizioni migliori al mondo, ma anche Napoli, tramite lo stesso governatore della Campania, Vincenzo De Luca, aveva sostenuto la candidatura a capitale del caffè italiano, forte della tradizione dei suoi locali storici, e proponeva un ruolo e un fascicolo a parte sull'espresso partenopeo.
Sia come sia, dopo qualche diatriba, si era arrivati a una candidatura unica del “Caffè italiano espresso tra cultura, rituali, socialità e letteratura nelle comunità emblematiche da Venezia a Napoli”, che identificava ben undici città emblematiche per il caffè: oltre a Trieste e Napoli, anche Torino, Milano, Venezia, Bologna, Roma, Lecce, Pescara, Palermo e Modica.
La candidatura era stata presentata al Consiglio direttivo della Commissione italiana per l'Unesco, che però, pur apprezzando il tentativo, ha deciso di portare al Comitato intergovernativo di Parigi per il ciclo 2023 “L’arte italiana dell’Opera lirica”, gelando le speranze dei cultori del caffè italiano.

Alessandro Martegani