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Con la sentenza di questo 2 maggio, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha dato luce verde all'Italia per chiedere la confisca della statua greca del VI secolo a.C. scoperta nell'Adriatico nel 1964 e acquistata nel 1977 dal museo Getty di Los Angeles in un'asta per 3,9 milioni di dollari in Germania. All'epoca l'Italia cercò, senza successo, di impedirne il trasferimento; per chiederne poi nei decenni successivi la restituzione senza trovare una corrispondenza.

Dopo che nel 2019 la Corte di cassazione aveva confermato un ordine italiano di confisca del bronzo il museo presentò ricorso alla Corte europea dei diritti dell'uomo, che ha sede a Strasburgo, sostenendo che i tentativi di confiscarlo andavano contro il diritto fondamentale alla proprietà protetto nel Protocollo alla Convenzione europea sui diritti dell'uomo. A seguito della sentenza di questa settimana, il museo statunitense ha tre mesi per presentare ricorso, ma il tribunale non è obbligato ad accogliere la richiesta.

Nel loro verdetto, i giudici italiani affermano che la statua appartiene al patrimonio culturale del Paese perché recuperata da una nave battente bandiera italiana, sottolineando, inoltre, il «continuum tra la civiltà greca e la successiva esperienza culturale romana». «Il Getty Trust, acquistando la statua in assenza di qualsiasi prova della sua legittima provenienza e con piena cognizione di quanto pretese su di essa le autorità italiane, aveva disatteso quanto prescritto dalla legge, quanto meno con negligenza, o forse in malafede», aggiunge la Corte. I giudici citano anche gli accordi internazionali che proteggono dall'esportazione illecita di beni culturali, come una convenzione del 1970 dell'Unesco.

Questa non è la prima diatriba dell'Italia con il Getty Museum. Nel 2007 il museo statunitense dovette restituire 42 oggetti antichi, che Roma affermava fossero stati rubati ed esportati illegalmente.

Barbara Costamagna