"La prima guerra mondiale è stata la prima guerra di massa e ciò ha voluto dire anche morte di massa", ci spiega per prima cosa lo storico Lucio Fabi, grande conoscitore del Carso e delle sue trincee. "Alla fine di quel conflitto ci furono circa 10 milioni di militari caduti sui diversi fronti, e circa un terzo di questi rimase senza nome a causa di diverse vicissitudini". La figura del milite ignoto nasce in molti dei paesi che erano stati coinvolti in quel conflitto per "fornire alle tantissime famiglie in lutto una figura ideale nella quale identificarsi e un luogo dove poter ricordare i propri cari". I primi ad istituirla nel 1920 furono Francia e Inghilterra, seguiti nel 1921 dall’Italia, all'epoca ancora liberale.
Un figura, quindi, che dovrebbe conciliare tutti quanti, ma che negli anni è diventata una divisiva; essendo spesso identificata con un certo nazionalismo di destra. "In questi ultimi tempi", però, ci dice Fabi, "almeno a livello storiografico si è fatta strada un’intrepretazione più ampia del fenomeno milite ignoto e anche della grande guerra".
Per quanto riguarda le polemiche sorte per la concessione della cittadinanza onoraria al milite ignoto da parte di alcuni comuni, Fabi ritiene "che oggi questo mito dovrebbe essere visto come un monito a ricordare il sacrificio fatto da molti in quella guerra e in tutte le guerre".
Il milite ignoto a cento anni di distanza dovrebbe, quindi, essere considerato "il simbolo di tutti i caduti senza nome; anche di quelli provenienti da quest'area che sono morti su altri fronti, magari combattendo nelle fila dell’esercito austro- ungarico". La proposta di Fabi è, quindi, quella di guardare a questo mito con una visione più laica, che metta in rilievo il suo valore universale: un simbolo non soltanto dei caduti di quella guerra, ma di quelli di tutti i conflitti che hanno flagellato e continuano a flagellare il mondo.
Barbara Costamagna