Le indagini sono ancora in una fase iniziale e la riservatezza è massima, ma il sospetto è che l’inchiesta che ha coinvolto sei carabinieri a Piacenza possa anche allargarsi.
Le accuse sono pesantissime e avvalorate da intercettazioni telefoniche e ambientali: traffico e spaccio di sostanze stupefacenti, ricettazione, estorsione, arresto illegale, tortura, lesioni personali, peculato, abuso d'ufficio e falsità ideologica. Facendo leva sulla propria posizione, il gruppo aveva messo in piedi un’autentica organizzazione criminale, non esitando a usare la violenza ottenere l’esclusiva della fornitura agli spacciatori. Anche in pieno lockdown gli agenti approvvigionavano di droga gli spacciatori, rimasti senza stupefacenti a causa delle norme anti Covid.
Quello che più ha impressionato però è stata la disinvoltura con cui venivano commessi i reati e il senso d’impunità che caratterizzava gli arrestati, che avevano anche postato delle foto sui social che li ritraevano con droga e mazzette di denaro. Uno di loro si vantava delle violenze anche con il figlio di undici anni.
"Faccio a fatica – ha detto il capo della Procura di Piacenza, Grazia Pradella - a definire questi soggetti come carabinieri, perché i loro sono stati comportamenti criminali. Non c'è stato nulla in quella caserma di lecito”. La caserma dei Carabinieri di Piacenza è stata sequestrata, e ci saranno decine di interrogatori di persone informate sui fatti, soprattutto colleghi degli arrestati, per capire chi fosse al corrente della situazione, ma il caso ha già gettato un’ombra su tutta l’Arma dei Carabinieri. Il comando generale dell'Arma dei Carabinieri ha disposto "l'immediata sospensione dall'impiego" per i militari coinvolti nell'inchiesta e la procura militare ha aperto un fascicolo. È anche già stato nominato un nuovo comandante di Compagnia al posto dell'ufficiale sospeso dal servizio per il suo possibile coinvolgimento nella vicenda.
Anche il ministro della difesa Lorenzo Guerini ha ricordato come “da subito sia l'Arma dei Carabinieri sia il Ministero della Difesa abbiano dato la massima disponibilità a collaborare con la magistratura affinché si faccia completa luce sulla vicenda”, ma potrebbe non bastare. Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, ragazzo morto nel 2009 in seguito alle percosse ricevute da dei Carabinieri, verità emersa dopo un lungo processo e tentativi di depistaggio da parte di alcuni agenti, ha parlato di “un fatto enorme e gravissimo: basta parlare di singole mele marce, - ha aggiunto - i casi stanno diventando troppi. Il problema è nel sistema”.
Alessandro Martegani