“Le energie rinnovabili non sono sufficienti a soddisfare il fabbisogno energetico del Paese”, quindi l’Italia guarda al nucleare.
È stato il ministro dell'Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, a riaprire un capitolo che ritorna ciclicamente nel dibattito politico italiano, nonostante due referendum, nel 1987 e del 2011 (la seconda consultazione fra l’altro si tenne a poca distanza dal disastro nucleare di Fukushima), abbiano respinto i provvedimenti che puntavano a riaprire il programma nucleare in Italia.
A 12 anni di distanza dall’ultima consultazione però il centro destra ci riprova, poiché, ha detto il ministro in un'intervista sul quotidiano La Repubblica, nei referendum fu chiesto agli italiani di esprimersi sul nucleare di prima e seconda generazione, “ma ora – ha aggiunto - le cose sono molto cambiate”.
Il governo guarderebbe a una tecnologia sostenibile: ha già attivato una “Piattaforma Nazionale per un Nucleare Sostenibile”, che in settimana ha tenuto la prima riunione, e il piano sarebbe quello di realizzare centrali più piccole, e tecnologicamente avanzate, di quarta generazione. In qualche mese l’esecutivo punta a definire un percorso che possa portare all’avvio della prima centrale entro 10 anni.
Solo in questo modo, ha detto il Ministro dell’ambiente, il paese potrà “soddisfare le richieste dell’industria”. "Dobbiamo investire nella ricerca del nucleare di ultima generazione – ha detto -, produrre energia sicura e pulita non è un’opzione, è una priorità”.
"L'Italia non può perdere tempo – ha rincarato il vicepremier e Ministro delle Infrastrutture e Trasporti, Matteo Salvini -: deve essere chiaro l'obiettivo di tornare a produrre energia pulita e sicura tramite il nucleare, a partire dai prossimi anni”.
I problemi però non mancano: oltre ai referendum, che però rappresentano un ostacolo politico e non giuridico, visto che nessuna norma impedisce di riproporre un provvedimento abrogato da un referendum, c’è il problema del deposito delle scorie, che al momento non è stato risolto, visto che nessuno dei comuni interpellati per ospitare la struttura ha dato l’assenso.
Non è secondaria poi la questione dei costi di realizzazione, che rischiano di aprire un'altra voragine nei già disastrati conti pubblici italiani, con il rischio di dover poi affrontare proteste e nuovi referendum, che potrebbero bloccare tutto. Le strutture a cui punta Roma, i piccoli reattori modulari, hanno alti costi di costruzione e manutenzione, e avrebbero bisogno di uranio arricchito, che viene attualmente controllato per metà da società russe, con il rischio di ricadere nella spirale del gas.
Anche sul capitolo della fusione, una tecnologia che potrebbe dare energia pulita ma che è ancora in una fase embrionale, non sembra esserci chiarezza su tempi, costi, comunque altissimi, e obiettivi.
Alessandro Martegani