Quelle del 2022 passeranno probabilmente alla storia come le prime elezioni che hanno aperto la porta di Palazzo Chigi alla prima presidente del Consiglio donna, ma anche, parafrasando uno dei primi commenti della stampa internazionale, quello della CNN, alla politica più a destra dalla nascita della Repubblica.
Queste elezioni hanno un unico vincitore, pur con qualche successo per altre forze politiche, e si chiama Giorgia Meloni: dopo aver fatto nascere nel 2012 Fratelli d‘Italia dalle ceneri del Popolo delle libertà, aver lentamente consolidato la presenza sul territorio, aver ottenuto il 4,5 per cento quattro anni fa e aver rifiutato, unico partito in Parlamento, l’opportunità di far parte della maggioranza che reggeva il governo Draghi, Giorgia Meloni ha raccolto quanto seminato in questi anni.
Il 26 per cento ottenuto da Fratelli d’Italia, con un balzo di 22 punti in quattro anni, è un numero che impressiona molto di più del 44 per cento conquistato dal centro destra: il partito di Giorgia Meloni sarà ampiamente il primo gruppo parlamentare, guidando una maggioranza solida sia alla Camera sia al Senato.
La vittoria di Giorgia Meloni ha avuto ampio spazio sulla stampa internazionale, che sottolinea soprattutto le origini di destra del partito della leader di Fratelli d’Italia, e i timori che l’Italia si aggiunga alla schiera dei paesi sovranisti come Polonia e Ungheria, fra l’altro fra i primi a congratularsi con la leader di Fratelli d’Italia.
Se Giorgia Meloni festeggia, già proiettata verso la guida del paese, non tutti nel centro destra possono sorridere nonostante la vittoria: è il caso della Lega, finita, dopo il 17 per cento del 2018, sotto la soglia psicologica del 10 per cento, all’8,8. Un risultato temuto dal Carroccio e soprattutto da Matteo Salvini, che vede ora vacillare seriamente una leadership già duramente compromessa nel corso della legislatura. Già si parla di una successione, fra i papabili i governatori Zaia o Fedriga: per ora Salvini non è intervenuto, limitandosi a far saper che un risultato così basso non era assolutamente atteso. In alcune regioni, come Veneto e Friuli Venezia Giulia, proprio le regioni di Zaia e Fedriga, i risultati sono stati molto deludenti, tanto da far parlare anche di boicottaggio negli ambienti salviniani.
Sorride invece Silvio Berlusconi, che ha visto il suo partito calare ulteriormente, di sei punti rispetto al 2018, ma che , viste le premesse, ha tenuto, riuscendo quasi a raggiungere la Lega, nonostante l’uscita di esponenti di prima fila come i ministri Gelmini, Carfagna e Brunetta, e diventando il punto di riferimento moderato all’interno della nuova maggioranza, indispensabile per la tenuta del futuro governo.
Non sorride invece il centro sinistra: il Pd che si attendeva un risultato ben al di sopra del 20 per cento, si è fermato al 19, qualche decimo in più rispetto al 2018, ma gli alleati hanno raccolto tutti assieme poco più del 6, relegando il centro sinistra all’opposizione con il 26 per cento, e mettendo nei guai il segretario Enrico Letta, che ha lasciato alla vice Deborah Serracchiani il compito di ammettere la sconfitta e vede la sua leadership a rischio.
Musi lunghi nonostante tutto anche nel terzo polo: l’alleanza formata da Azione e Italia Viva si ferma sotto l’otto per cento, un risultato che potrebbe essere considerato positivo per un movimento alla prima esperienza alle politiche, ma che non soddisfa Carlo Calenda e Matteo Renzi che puntavano a più del dieci per esser determinanti nel futuro Parlamento.
La soddisfazione è invece evidente nel Movimento 5 Stelle, partito dato in caduta libera all’avvio della campagna elettorale, ma che ha fermato l’emorragia di consensi, dimezzando i voti presi nel 2018, passando da più del 32 per cento al 15, ma rimanendo il primo partito al sud, e la terza forza politica del paese: paradossalmente si tratta di un successo per il partito di Giuseppe Conte, che ha puntato la campagna su temi come il reddito di cittadinanza che evidentemente hanno pagato.
Alessandro Martegani