La normativa era stata approvata nel 2018, all’interno del cosiddetto “Decreto Sicurezza”, su spinta degli allora ministri Matteo Salvini e Danilo Toninelli, e puntava soprattutto a evitare i tentativi di elusione fiscale: il provvedimento modificava il codice della strada in Italia, sancendo il divieto di circolazione per tutti i veicoli con targa non italiana di proprietà, o anche solo guidati da persone residenti sulla penisola da più di 60 giorni.
Lo scopo era limitare le pratiche d’immatricolazioni estere formalmente regolari, magari intestate a società estere, ma effettuate solo per non pagare le tasse di registrazione in Italia, il bollo auto, o semplicemente per evitare di dare spiegazioni sulla provenienza dei soldi necessari per acquistare il mezzo. In effetti in Italia non era infrequente vedere veicoli con targhe tedesche, svizzere, di San Marino, oltre che di molti paesi dell’est, guidate da persone residenti in Italia.
Fra loro però non c’erano solo ricchi che cercavano di evitare le tasse che gravano su una macchina di lusso, ma anche lavoratori stranieri, o pensionati rientrati in Italia dopo aver lavorato all’estero.
La normativa era stata contestata anche perché a volte le conseguenze erano state quasi paradossali: è ad esempio passibile di sanzione, con il blocco del mezzo in attesa di espatrio o di nuova immatricolazione in Italia, anche un residente in Italia trovato alla guida di un’auto presa prestito da un amico, se il mezzo ha la targa straniera. Anche le deroghe aggiunte in seguito, per i transfrontalieri o le società di noleggio e leasing, non avevano migliorato la situazione.
Contro la norma erano stati presentati dei ricorsi, e, a tre anni dall’entrata in vigore della norma, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata contro il provvedimento, definendo il contenuto del decreto illegittimo, in quanto limita la libera circolazione dei capitali, uno dei pilastri dell’Unione Europea.
Il ricorso era stato presentato da due coniugi: il marito residente in Italia, era stato fermato alla guida di un veicolo con targa slovacca di proprietà della moglie, residente in Slovacchia. La donna fra l’altro era a bordo del veicolo, ma la multa era scattata lo stesso perché alla guida dell’auto c’era un residente in Italia da più di 60 giorni.
Una multa però illecita per la Corte europea: la libera circolazione dei capitali tra soggetti di Stati Membri dell’Unione europea si può limitare solo in casi di acclarata frode o tentativo di frode ai danni di uno Stato, e per applicare la normativa italiana quindi è necessario che sia accertato un tentativo di frode fiscale, considerazione che rende leciti gran parte dei casi contestati, e che espone l’Italia a una lunga serie di ricorsi.
La sentenza non ha un effetto automatico sulla legislazione italiana, ma se la norma non fosse modificata, oltre a generare nuovi ricorsi, potrebbe spingere l’Unione Europea a procedere contro l’Italia per violazione dei trattati.
Alessandro Martegani