30 anni fa, il 23 maggio del 1992, poco prima delle 18:00, un comando a distanza faceva esplodere 500 chili di tritolo posizionati sotto l’autostrada nei pressi di Capaci, a pochi chilometri da Palermo, al passaggio delle auto del Giudice Antimafia Giovanni Falcone.
L’esplosione fu devastante: sventrò un intero tratto dell’autostrada; delle tre auto che facevano parte della scorta la prima, con a bordo Antonio Montinaro e Rocco Dicillo, e Vito Schifani, venne completamente distrutta uccidendo sul colpo gli agenti; la seconda auto su cui viaggiavano il giudice Falcone, la moglie e magistrato Francesca Morvillo e l’autista Giuseppe Costanza, si schiantò contro l’asfalto alzato, ferendo mortalmente due magistrati, che morirono poco dopo in ospedale, mentre l’autista si salvò.
Fu l’attacco più cruento e soprattutto la sfida pià grave mai messa in atto da Cosa Nostra nei confronti dello Stato, ma questa pagina buia della storia italiana, accanto all’omicidio del giudice Paolo Borsellino, avvenuto due mesi dopo, ha segnato una svolta nella reazione decisa dello Stato contro la criminalità organizzata e il potere mafioso in Sicilia.
Accanto alla reazione delle forze dell’ordine e delle istituzioni (dopo l’attentato le forze politiche si unirono per concludere l’elezione del Presidente della Repubblica, in corso in quei giorni, e far salire al Colle Oscar Luigi Scalfaro), ci fu anche una presa di coscienza da parte della popolazione: in Sicilia i movimenti antimafia, composti soprattutto da giovani, presero grande vigore, e vennero emanate nuove norme antimafia per scardinare le catene di comando nelle organizzazioni.
Fu una data di svolta per l’Italia, che si stava anche preparando alla fine della cosiddetta prima repubblica, una data ricordata oggi a Palermo dallo stesso Capo dello Stato, Sergio Mattarella, che ha partecipato alla cerimonia del trentennale della strage di Capaci, accanto, fra gli altri, al presidente della Camera Roberto Fico, e ad altri ministri e rappresentanti delle istituzioni.
Mattarella, parlando ai ragazzi, ha ricordato come la lotta contro la Mafia non sia un atto di eroismo, ma un dovere dei cittadini per difendere la legalità e la società civile. “Giovanni Falcone diceva che l'importante non è stabilire se uno ha paura o meno – ha spiegato - ma saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa: il coraggio, diceva, è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza. Agire non è spregio del pericolo o la ricerca di forme ostentate di eroismo, ma la consapevolezza che l'unico percorso possibile è quello del perseguimento della legalità”.
La lotta alla mafia, ha poi aggiunto, non è solo un’emergenza, ma una regola costante: bisogna “evitare di adottare le misure necessarie soltanto quando si presentano condizioni di emergenza, ed è compito delle istituzioni agire per tempo, senza dover attendere il verificarsi di eventi drammatici per essere costretti a intervenire”. “Questa consapevolezza – ha concluso - dovrebbe guidare costantemente l'azione delle istituzioni per rendere onore alla memoria dei servitori dello Stato che hanno pagato con la vita la tutela dei valori su cui si fonda la nostra Repubblica”.
Alla commemorazione hanno partecipato studenti provenienti da tutt'Italia, e gli interventi proseguiranno per tutto il giorno.
La strage di Capaci è stata ricordata con varie iniziative anche in Friuli Venezia Giulia. Il presidente del Consiglio regionale Piero Mauro Zanin, ha ricordato come quella contro la mafia sia una battaglia ancora attuale: “Oggi – ha detto - le mafie agiscono il più delle volte sottotraccia, infiltrandosi nell'economia legale, ed è importante continuare a vigilare, alimentando gli anticorpi della società civile”. Per ricordare la strage di Capaci, un drappo bianco è stato esposto sul palazzo del Consiglio regionale. A Gorizia il sindaco Rodolfo Ziberna ricorderà la tragedia alle 17.57, ora esatta dello scoppio dell'ordigno.
Alessandro Martegani