Una migrazione delle stesse attività da una classificazione a un'altra per rimanere aperti in caso di misure restrittive. Il processo è stato documentato da una ricerca della Banca d’Italia che ha analizzato i movimenti d’iscrizioni e cassazioni di attività nel Registro delle Imprese in Italia, durante il periodo di lockdown compreso tra l’11 marzo e il 17 maggio.
Nello studio si evidenzia come ci sia stata “una caduta senza precedenti” delle nuove iscrizioni, ma anche, in modo repentino, delle cessazioni. Si tratta di un’anomalia rispetto ad altri periodi di crisi in cui le cessazioni erano state molto elevate. “È plausibile – dice la Banca d’Italia - che le limitazioni alla mobilità disposte dal Governo o l’attesa di misure di sostegno possano aver indotto le imprese a posporre l’effettuazione di pratiche amministrative o a circoscriverle a quelle strettamente necessarie”.
Il dato più interessante però riguarda i cambiamenti di “codice Ateco”: si tratta di una combinazione alfa numerica che definisce il tipo di attività, al centro di roventi polemiche in questi mesi poiché proprio a questi codici sono stati legati i ristori per le attività chiuse dalle misure restrittive, ma gli stessi codici sono stati utilizzati anche per definire un’attività “essenziale” o meno, e quindi se l’impresa possa o meno rimanere aperta nonostante le misure restrittive applicate in Italia.
Nel periodo preso in esame, segnala la Banca d’Italia “sono aumentate significativamente le comunicazioni relative al cambio del codice Ateco, soprattutto nel settore manifatturiero e nelle regioni del nord” e, aggiunge l’Istituto, “il maggior incremento si è registrato per i passaggi dai codici delle attività classificate come non essenziali durante il lockdown ai codici riferibili alle attività essenziali”, passando dal 3,4 normalmente osservato al 10,2 per cento del totale. “Un processo evidente soprattutto nel settore manifatturiero e nelle regioni del nord”.
“Per molte imprese – dice lo studio - la variazione da attività definite non essenziali o senza di classificazione, verso attività ritenute essenziali, ha quindi evitato l’interruzione della produzione”.
La possibilità di rimanere aperti durante il lockdown non è però l’unico motivo che avrebbe spinto le aziende a chiedere la variazione di codice: in alcuni casi “le imprese potrebbero essersi effettivamente spostate su produzioni per loro nuove, a fronte di attese di aumento della domanda di un dato bene o servizio”, ma è anche possibile che molte imprese, proprio valutando se fosse possibile rimanere aperte o chiedendo i ristori, si siano rese conto di esser state classificate erroneamente o di non essere classificate affatto, e quindi abbiano quindi provveduto a mettere in regola la situazione.
Alessandro Martegani