Nemmeno un vertice al Quirinale sembra aver spazzato via i dubbi sull'accordo che l'Italia si appresta a siglare con la Cina la prossima settimana, in occasione della visita del presidente cinese Xi Jinping.
La Lega rimane dubbiosa sull'abbraccio fra Roma e Pechino, allineandosi con gli Stati Uniti, che avevano chiesto di non stringere l'accordo, e con l'Unione europea, contraria a iniziative isolate da parte dei singoli stati membri che potrebbero compromettere gli equilibri economici continentali.
Il memorandum "non è un testo sacro" ha detto Matteo Salvini, e se ci sarà "il solo lontanissimo dubbio" che certe acquisizioni possano mettere in difficoltà la sicurezza nazionale, dirò un secco "no".
Dall'altra parte Luigi di Maio si è detto "contento che nel Governo ci sia totale accordo" assicurando che "La via della Seta non deve essere vista assolutamente come una nuova alleanza geo-politica".
Una situazione che ha costretto Palazzo Chigi a intervenire, affermando che "Il memorandum non è giuridicamente vincolante e contiene richiami ai principi e agli standard europei in materia di sostenibilità finanziaria, economica ed ambientale".
Quello che sembrava accordo fatto e scontato fino poche settimane fa, si è trasformato in un campo di battaglia, che ha coinvolto anche i governi delle regioni: se Massimiliano Fedriga, governatore del Friuli Venezia Giulia, la regione maggiormente interessata alla vicenda grazie al Porto di Trieste, ha ribadito l'invito a non chiudersi all'interno del paese e a dialogare con qualsiasi investitore senza preclusioni, il collega del Veneto e di partito, la Lega, Luca Zaia, ha stroncato l'iniziativa, parlando di una nuova forma di colonizzazione. "Lasciare i porti nelle mani degli stranieri, - ha detto - significa lasciare loro anche la nostra economia."
Alessandro Martegani