Giorgia Meloni affida alle pagine de "Il Corriere della sera" le sue riflessioni rispetto alla ennesima polemica in corso sulla festa nazionale del 25 aprile, con la quale si celebra la liberazione dell'Italia dal nazifascismo. "Lo faccio" – spiega- "con la serenità di chi queste riflessioni le ha viste maturare compiutamente tra le fila della propria parte politica ormai 30 anni fa", spendendosi poi in parole di esaltazione della democrazia come antidoto a "qualsiasi rischio autoritario".
Passa, quindi, ad attaccare le organizzazioni di sinistra e l'Anpi che vengono accusate di raccontare "una sorta di immaginaria divisione tra italiani compiutamente democratici e altri, presumibilmente la maggioranza a giudicare dai risultati elettorali, che pur non dichiarandolo sognerebbero in segreto un ritorno a quel passato di mancate libertà".
Unire e non dividere è il messaggio che lei dice di voler, invece, passare agli italiani, guardandosi, però, bene dal pronunciare la parola antifascismo. La Meloni parla, infatti, solo di incompatibilità "con qualsiasi nostalgia del fascismo"; e nonostante i toni all'apparenza concilianti in realtà soffia sulle divisioni, andando a toccare i punti tipici della contrapposizione di coloro che guardano a quel periodo con intenti militanti da una parte e dall'altra. Gli unici riferimenti all'epoca sono, infatti, relativi alla storia del confine orientale dove la resistenza ebbe per alcuni versi un significato diverso dal resto del paese, essendo caratterizzata da una complessità maggiore dovuta alla presenza di uno scontro fortemente ideologico e nazionale. La Meloni ricorda le foibe e l'esodo e omaggia la partigiana Paola del Din della brigata Osoppo, che passò alla storia per l'eccidio di Porzus, l'evento, considerato uno dei più tragici e controversi della Resistenza italiana, che è tuttora fonte di discussione sulla natura e sugli obiettivi immediati e prospettici del PCI in quegli anni, nonché sui suoi rapporti con i comunisti jugoslavi e con l'Unione Sovietica.
Barbara Costamagna