Sembrano molto lontani i mesi della scorsa estate quando, accanto al premier Conte, al ministro Roberto Speranza veniva attribuito il merito di aver portato il paese fuori dalla fase più acuta della pandemia, tanto da spingerlo a scrivere un libro, “Perché guariremo”, precipitosamente ritirato, non appena i contagi hanno ricominciato a farsi sentire, e forse definitivamente archiviato.
Ora i contagi in salita, le notizie contraddittorie sul piano pandemico, i più o meno gravi ritardi sui vaccini, e soprattutto il costante contrasto con le regioni, sembrano aver messo il ministro all’angolo. Proprio Speranza nel suo ultimo intervento alla Camera ha specificato che “l’epidemia è nuovamente in una fase espansiva” e il governo deciderà di “prorogare al 30 aprile lo stato di emergenza", ma ha anche confermato che ci sono ben dodici regioni ad alto rischio, otto a rischio moderato e una sola regione a rischio basso.
Le valutazioni sono però basate su criteri e dati su cui Roma e le regioni non concordano: da mesi le amministrazioni regionali chiedono di ridurre e rielaborare i criteri per l’assegnazione delle fasce, con un’insistenza che sembra aver fatto perdere la pazienza al ministro: “Le regioni alimentano i dati con cui la cabina di regia effettua il monitoraggio dal mese di maggio, e nella cabina di regia ci sono tre rappresentanti indicati dalle regioni. È surreale – ha detto - che, anziché assumersi la loro parte di responsabilità, ci sia chi faccia finta di ignorare la gravità dei dati che riguardano i propri territori”.
Non ha aiutato il clima generale il ritardo nell’aggiornamento del piano pandemico, in cui fra l’altro si specifica che, “Se le risorse sono scarse è necessario privilegiare pazienti che possono trarne maggior beneficio”.
Non va molto meglio sul fronte dei vaccini: oltre a uno scenario evidentemente non coordinato, con regioni che hanno quasi esaurito le dosi, e dipendono dalle nuove forniture per poter fare i richiami, e altre hanno ancora il 90 per cento dei vaccini nelle celle frigorifere, gli stessi rappresentanti del governo fanno previsioni differenti sulla campagna vaccinale: il commissario per l’emergenza Domenico Arcuri ha dichiarato che entro marzo “saranno vaccinati 6 milioni di italiani”, una cifra dimezzata rispetto a quella dichiarata dal ministro della Salute solo due settimane fa, quando aveva detto che al primo aprile terminerà la prima fase con 13 milioni di vaccinati, un quota che ci consentirà, aveva aggiunto, “di avere il primo impatto epidemiologico”.
Alessandro Martegani
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