Foto: Radio Capodistria
Foto: Radio Capodistria

Il 27 gennaio con l'indizione del Giorno della memoria è ormai da una trentina d'anni un'occasione per riflettere su quella che in ebraico è stata ribattezzata, la Shoah, la catastrofe. Un unicum nella storia dell'umanità, che nonostante i tentativi di riduzionismo portati avanti anche nelle nostre lande, rappresenta ancora per la sua brutale industrializzazione un'episodio eccezionali tra i svariati tentativi portati avanti in svariate parti del pianeta e in tempi diversi di eliminare gruppi etnici e o oppositori.

Come ogni anno in quest'occasione sono previste in tutto il mondo, ed anche in Italia e Slovenia, manifestazioni per ricordare coloro che perirono nei campi di concentramento nazisti. Non solo ebrei ma anche Rom, gay, attivisti politici perseguitati con più o meno ferocia per la loro diversità.

Un monito, quello del 27 gennaio, che nel tempo sembrava essersi svuotato di significato, ma che a fronte di saluti romani che sembrano fioccare con sempre più frequenza nei luoghi più disparati e alla crescente intolleranza verso i diversi e gli stranieri sembra riprendere forza. Il Giorno della Memoria, mai come ora, è tornato utile per ricordarci che il male peggiore si annida nelle persone comuni e che il peccato più grande è l'indifferenza, perché, come rammentano molti sopravvissuti ancora con sofferenza prima della camera a gas, nel momento esatto in cui i regimi decisero che non si era più un cittadino come tutti gli altri, ci fu il mancato saluto dei vicini.

Barbara Costamagna