L’ultimo mese verrà probabilmente ricordato come uno dei peggiori nella storia dei mercati finanziari nel mondo.
Nel giro di poche giornate le borse, spaventate dalla pandemia e dagli effetti sull’economia, ma anche da alcune improvvide frasi da parte di chi invece quei mercati avrebbe dovuto rassicurare, hanno perso quasi il 30 per cento di capitalizzazione, ritornando a livelli che non si vedevano dal 2008, con vendite a ripetizione, anche su titoli di aziende assolutamente solide, e corsa ai beni rifugio.
Si è tratta però di uno scenario nuovo: l’oro ad esempio, bene rifugio per eccellenza, dopo un’impennata iniziale ha perso terreno, a causa delle vendite dovute alla necessità di monetizzare per compensare le perdite nei settori azionari e obbligazionari. Crescono invece altri beni rifugio, come titoli di Stato americani, yen e marchi svizzeri.
In uno scenario negativo la maglia nera l’hanno vinta però le cripto valute, che alla prova della prima crisi finanziaria dalla loro nascita hanno ceduto, perdendo fino al 50 per cento del loro valore.
In questo scenario sia i governi sia le banche centrali hanno dato in prima battuta l’idea di essersi mossi in ritardo e soprattutto in ordine sparso. Solo quattro settimane fa c’era ancora, nei governi europei e negli Stati Uniti, chi definiva il coronavirus “una semplice influenza”: un atteggiamento che sembra aver condizionato anche i primi passi delle banche centrali.
Se la Fed è intervenuta subito con un taglio dei tassi, altrettanto non ha fatto la Bce, che in prima battutaha ha varato un piano di portata molto limitata, giungendo ad affermare, come ha detto la presidente Christine Lagarde, che non è compito della Bce tutelare i titoli di stato dei paesi membri. Una linea immediatamente contestata dai governi, in particolare da quello italiano, e prontamente cambiata: la Bce ha quindi varato un piano da 750 miliardi di euro, e la Commissione non ha escluso di emettere titoli per finanziare la ripresa, e di far ricorso anche al fondo salvastati.
Un fiume di denaro che dovrebbe dare respiro all’economia del vecchio continente in attesa della fine della pandemia e favorire la ripresa: i settori da sostenere sono moltissimi, a cominciare dai trasporti, visto che si calcola che decine di compagnie aeree fallirebbero entro l’estate senza un sostegno da parte dello Stato.
In questa fase però, per alimentare una ripresa dell’economia reale e dei mercati, che in chiusura di settimana hanno dati segnali di reazione, è fondamentale un’azione comune da parte dell’Europa, un punto su cui però l’Unione europea sembra aver dato il peggio di sé stessa nelle ultime settimane. Anziché pianificare strategie coordinate in campo finanziario e sanitario, i paesi europei hanno pensato a chiudere i confini e a tenere in casa il materiale sanitario, rendendosi conto solo a epidemia in atto che serviva un approccio comune. Un atteggiamento che di certo non rassicura investitori e mercati.
Le iniezioni di liquidità da parte dei soggetti istituzionali, e l’auspicata fine, o perlomeno il rallentamento dell’epidemia, dovrebbero in un futuro più o meno vicino dare ossigeno al mondo finanziario, che attende ancora una volta di ripartire, affrontando una situazione che non ha precedenti nella finanza moderna.
Alessandro Martegani