Foto: BoBo/Žiga Živulović jr.
Foto: BoBo/Žiga Živulović jr.

Se sei brutto, sei anche un candidato all’estinzione. È una rozza semplificazione, ma è quanto sembra emergere da uno studio condotto dall’Università di Firenze e dall’Ateneo di Hong Kong sui finanziamenti dedicati alla biodiversità e la loro distribuzione.
I dati rivelano che le risorse vengono raccolte e destinate più facilmente agli animali più belli, o più popolari, che avranno così più possibilità di salvarsi. A quelli brutti o considerati pericolosi toccano invece meno risorse dei fondi globali destinati alla conservazione delle specie animali e vegetali, e rischiano maggiormente l’estinzione.

Foto: Katja Poboljšaj
Foto: Katja Poboljšaj

Le linee economiche per la salvaguardia della biodiversità, dice lo studio, “sono indirizzate solo ad un piccolo numero di grandi specie, mentre quasi il 94 per cento delle specie a diretto rischio di estinzione non ha ricevuto alcun sostegno”.
La ricerca, che ha analizzato quasi 15 mila progetti di conservazione in 25 anni, dal 1992 al 2016, rivela come animali come i panda, gli elefanti o le tartarughe marine ricevano molte risorse, mentre specie fondamentali per il funzionamento degli ecosistemi, come anfibi, invertebrati, piante e funghi, vengano dimenticati. Su 1.963 miliardi di dollari assegnati complessivamente dai progetti, l’82,9 per cento è stato destinato a vertebrati. Piante e invertebrati hanno rappresentato ciascuno solo il 6,6 per cento dei finanziamenti, mentre funghi e alghe hanno ottenuto meno dello 0,4 per cento.

Foto: Reuters
Foto: Reuters

Ci sono poi disparità anche all’interno dei gruppi maggiormente finanziati: i mammiferi di grossa taglia, che rappresentano solo un terzo dei mammiferi minacciati, hanno ricevuto l’86 per cento dei finanziamenti”, mentre anfibi come salamandre e rane, tra i vertebrati più a rischio di estinzione, ricevono meno del 2 per cento del totale. Animali come pipistrelli, serpenti, lucertole, e moltissimi insetti, escluse le farfalle, sono quasi dimenticati, nonostante, come ha fatto notare Stefano Cannicci, docente di Zoologia dell’Università di Firenze, sia un controsenso “investire i fondi sulla conservazione di poche specie senza preservare gli ecosistemi che li supportano”: è assurdo, ha aggiunto, “tutelare un animale ma non gli animali o le piante che mangia”.

Alessandro Martegani