Foto: Reuters
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L’Alta Corte britannica si è riunita per esaminare l’ultimo appello di Assange nei confronti della procedura di estradizione, contro la quale lotta da più di dieci anni, sette dei quali in autoesilio nell’ambasciata ecuadoriana a Londra, e gli ultimi cinque in un carcere di massima sicurezza nel Regno Unito. Gli Stati Uniti pretendono che il cittadino australiano sia estradato dopo essere stato accusato di spionaggio, tra il 2018 e il 2020, in relazione alla pubblicazione da parte di WikiLeaks di file relativi alle guerre guidate in Iraq e Afghanistan. Tale accusa fa riferimento allo scorso decennio, periodo durante il quale il sito fondato da Assange ha pubblicato centinaia di migliaia di documenti segreti statunitensi, creando una delle “più grandi fughe di dati nella storia del Paese”. Le possibilità per il giornalista sono due: nel caso l’appello venisse accolto avrebbe la possibilità di discutere il suo caso in un tribunale di Londra, con un’udienza completa, al contrario invece, se i giudici dovessero respingere la richiesta, il fondatore potrebbe finire immediatamente negli Stati Uniti. In ogni caso, se la decisione dovesse essere negativa, Assange avrebbe un’ultima possibilità rivolgendosi alla Corte Europea per i diritti umani. La moglie del fondatore di WikiLeaks ha dichiarato che la sua vita è a rischio ogni singolo giorno che trascorre in prigione, e nel caso in cui venisse estradato, morirà. Stella Assange ha evidenziato più volte le condizioni di salute fisica e mentale sempre più precarie del marito, dopo i 5 anni di detenzione in un carcere di massima sicurezza, ricordando quanto queste udienze siano di vitale importanza, dato che rappresentano “un ultimo tentativo di fronte alla giustizia britannica”.

B.Ž.