La vittoria elettorale Tory è stato “un mandato per la Brexit, che noi onoreremo entro il 31 gennaio”.
Non ha atteso Boris Johnson, e a poche ore dalla conferma del successo elettorale che gli ha consegnato un’ampia maggioranza dei seggi alla Camera dei comuni, è andato a Buckingham Palace per incontrare la Regina, e ha confermato ciò che tutti attendevano di fronte a Downing Street.
Il Parlamento voterà la Brexit entro l’anno, ma Johnson ha anche sottolineato l’impegno sul sistema sanitario, l’altro tema caldo della campagna elettorale, e ha ringraziato coloro che “non avevano mai votato Tory in 100 anni e che hanno cambiato idea”.
E se in casa Tories, e in genere fra i pro Brexit, si festeggia, è tempo della resa dei conti fra i laburisti: il risultato uscito dalle urne ha assegnato 360 seggi ai Tories su 650, lasciandone solo 200 al Labour di Jeremy Corbyn, ha riportato il Regno unito ai tempi Margaret Thatcher, e ha segnato una sconfitta storica per il Labour, mai così in basso dal 1935. Il leader Labour Jeremy Corbyn viene indicato come il maggior responsabile della sconfitta, per non aver capito i sentimenti del paese verso la Brexit, non aver saputo contrastare la personalità di Johnson, e per aver voluto una svolta a sinistra del partito, allontanando molti elettori.
Male anche l’altro partito anti Brexit, i liberaldemocratici, che hanno ottenuto un pugno di seggi e hanno anche visto la mancata elezione della giovane leader Jo Swinson, che ha già annunciato le proprie dimissioni.
Il risultato spiana naturalmente la strada verso la Brexit, e anche a Bruxelles, dove era in corso il Consiglio d’Europa, non sono mancate le reazioni. “Ci dobbiamo mettere al lavoro al più presto possibile, - ha detto la presidente della Commissione Ursula von der Leyen - ma trarremo il massimo dal minimo” per arrivare ad “una relazione senza precedenti”. “Questa non è la fine di qualcosa – ha aggiunto - ma è l'inizio di eccellenti relazioni tra buoni vicini”.
Il risultato delle urne ha aperto però un altro fronte per il governo Britannico, quello della Scozia: gli indipendentisti scozzesi hanno fatto man bassa di seggi nello stato, rilanciando la possibilità di un nuovo referendum per l’indipendenza. La premier Nicola Sturgeon ha detto che gli scozzesi hanno lanciato “un chiaro messaggio” per un secondo referendum: “Non vogliamo – ha detto - il governo di Boris Johnson, e non vogliamo lasciare l’Unione europea”. “Boris Johnson – ha aggiunto - può avere anche un mandato per far uscire l’Inghilterra dall’Unione europea, ma sicuramente non ha un mandato per far uscire la Scozia”.
Alessandro Martegani