Ormai ma di “quando”, o meglio, di “a quando”. Martedì 17 marzo la UEFA, presieduta dallo sloveno Aleksander Čeferin si riunirà in una teleconferenza a cui saranno presenti anche i rappresentanti di tutte le 55 federazioni calcistiche europee e ufficializzerà il rinvio del torneo di Euro 2020, originariamente previsto fra il 12 giugno e il 12 luglio con sedi sparse in ben 12 paesi, in quella che, nell’idea dell’ex presidente Michel Platini che la propugnò, doveva essere una grande occasione per festeggiare il 60° compleanno del torneo continentale. Improbabile che questo 60° compleanno si possa festeggiare davvero nella data giusta: esiste una remota possibilità di spostare gli Europei a novembre, ma quasi certamente si posticiperà invece all’estate del 2021. Scelta ovvia, a cui la UEFA, contro ogni logica (eccezion fatta per quella commerciale) ha cercato a lungo di opporsi ma a cui alla fine ha dovuto arrendersi. Le federazioni in realtà avallano il rinvio soprattutto perché, sempre per logiche primariamente commerciali, vogliono avere il tempo di finire i rispettivi campionati nazionali. La UEFA si è arresa perché vuole avere il tempo di portare almeno a termine la Champions e l’Europa League. La prospettiva è che alla fine restino tutti delusi: si devono chiudere le competizioni entro il 30 giugno, quando scadono molti dei contratti dei calciatori con le rispettive squadre. Ma con la pandemia che è ancora lontana non diciamo dallo spegnersi ma anche solo dal raggiungere il suo picco in tutti i paesi d’Europa e con calciatori che continuano ad ammalarsi giorno dopo giorno, Qualche singolo torneo, forse, verrà portato a compimento. Tutti quasi certamente no, e certamente non in maniera regolare.
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