88 milioni di tonnellate l’anno: è la stima della quantità di cibo, prodotto regolarmente e assolutamente commestibile, che ogni anno viene gettato via in Europa senza essere consumato.
Lo spreco alimentare, per l’abitudine di acquistare più cibo del necessario e poi gettarlo prima di consumarlo, ma anche per produzioni e i trattamenti inefficienti, sia a livello privato sia aziendale, è una piaga a cui sembra difficile porre rimedio: secondo i dati forniti dalla Fao, l’Organizzazione per l'Alimentazione e l'Agricoltura delle Nazioni Unite, in Europa più del 20 per cento di tutto il cibo prodotto, pari a un valore di 143 miliardi di euro, viene gettato via.
L’ISPRA, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale ha stimato che, se lo spreco alimentare fosse un Paese, sarebbe responsabile di una quota fra l’8 e il 10 per cento delle emissioni a livello globale, al terzo posto dopo Stati Uniti e Cina.
Due terzi di questo spreco si produce fra le mura domestiche, ma ci sono perdite anche lungo la catena di raccolta, stoccaggio, trasformazione e trasporto fino al consumatore.
Secondo dati forniti dalla Fondazione Barilla, le maggiori perdite si verificano nell’industria lattiero-casearia e nella lavorazione e conservazione di frutta e verdura: ogni cittadino europeo butterebbe 58 chili di cibo l’anno, una media che in Italia è addirittura superiore con 65 chili, soprattutto latticini, carne, uova, pasta e pane, prodotti ortofrutticoli e pesce. La perdita sarebbe quantificata in 450 euro l’anno a famiglia: si tratta di un fenomeno che va contrastato soprattutto con l’educazione agli acquisti e all’alimentazione, e che, proprio nella fase di lockdown ha rivelato qualche segno di miglioramento.
Solitamente il cibo scartato, perché deteriorato o per motivi estetici, viene in parte riutilizzato per la produzione di mangimi, ma mancano le reti necessarie per trasferire questa massa di cibo a chi ne avrebbe più bisogno.
In questo campo stanno però intervenendo associazioni no profit e startup che cercano di rendere più efficienti le reti di raccolta e redistribuzione: a Milano ad esempio l’associazione no profit “Recup”, si occupa di recuperare il cibo nei mercati della città e redistribuirlo, ed è arrivata a salvare 47 tonnellate di cibo edibile in un anno, riconsegnate poi a quasi 5000 famiglie.
Un’attività che sfrutta anche le nuove tecnologie con delle app sviluppate ad hoc che consentono di gestire al meglio le risorse e i volontari che lavorano nei mercati, come quella sviluppata dalla società WWG per Recup: “Per molte persone il cibo che viene scartato è una fonte di sostentamento, ma Recup nasce con l'intento di condividere il cibo con tutti, a prescindere da status sociale, età, etnia: i dati sullo spreco alimentare sono ancora drammatici – ha detto Mohamed Deramchi, CEO di WWG – e sapere che c’è un’intera comunità che collabora per recuperare il cibo dai mercati rionali, ridistribuendo alla comunità stessa, ci fa sentire parte del cambiamento".

Alessandro Martegani