All'inizio c'erano le proteste, avviate in piena emergenza Covid-19, per le supposte malversazioni nell'acquisto di mascherine e respiratori, seguite da altre proteste più generalizzate, con in testa sempre l'avanguardia di insoddisfatti dell'area cultura, armati di biciclette e fischietti. Questa volta l'insoddisfazione ha preso di mira più decisamente il governo, quello autoritario di destra del premier Janez Janša. A lungo l'avversione all'attuale politica e situazione generale della società slovena, animata da gente comune e non da attivisti politici, è stata espressa in forma pacifica, coordinata, persino simpatica. Ma lo scorso venerdì la situazione è sfuggita di mano, un gruppo di scalmanati ha tentato di superare le transenne e fare irruzione nel palazzo del Parlamento. Le forze dell'ordine non sono state certo a guardare. Sette i fermi e altrettante le multe inflitte. Il fatto ha creato naturalmente una certa preoccupazione tra le forze politiche, ma la compagine di governo con in testa il premier Janša non sembra preoccuparsi più di tanto. Infatti quando ai manifestanti viene chiesto perchè stiano protestando, le risposte sono quasi sempre vaghe e poco convincenti. Certo, tutto il mondo è paese e ovunque dove regna la democrazia si ha il diritto di inveire contro il proprio governo »ladro«. L'aspetto pacifico e non conflittuale dei cortei e delle proteste devono però essere rispettati. Vanno condannate tutte le forme di violenza di chi protesta e ogni tipo di repressione da parte della polizia. Sul piano delle motivazioni e dei contenuti da osservare che le simpatie per il nuovo governo appena insediato non sono proprio tante, ma considerata la scarsa concretezza e articolazione delle richieste si può ipotizzare che il governo Janša ha buone possibiità di rimanere in sella fino alle prossime elezioni, ossia per due anni almeno. Elezioni come al solido disertate dagli elettori del centrosinistra e da quanti partecipano oggi numerosi alle manifestazioni antigovernative.
Miro Dellore