Secondo l’autore il processo di assimilazione è molto avanzato, nelle scuole gli insegnanti “spesso non sono di madrelingua, si iscrivono sempre più non italofoni, contesto che favorisce l’utilizzo di croato e sloveno come lingue di comunicazione fuori dall’orario di lezione”. Come se ciò non bastasse gli istriani di nazionalità italiana che si formano a queste scuole “tendono a emigrare nel resto dell’Ue, cercando un lavoro, uno stipendio o un clima socio-culturale migliori”. “Scomparsa (o resa superflua) la minaccia concreta della repressione, oggi la comunità italiana non è a rischio di estinzione per l’aggressione cosciente di un qualsivoglia attore, bensì per effetto secondario dei fenomeni globali (…) contro cui governi e autorità locali si sono dimostrati incapaci di elaborare una strategia adattiva efficace”. L’Istria del resto ha già visto comunità estinguersi e quella italiana, secondo Benazzo, potrebbe fare la fine degli istrorumeni.
Con il processo di cancellazione della memoria degli italiani d’oltrecortina proceduto più spedito della “riduzione in termini numerici” il presente appare “tutto sommato accettabile” quello che inquieta è il futuro e soprattutto il passato. Dopo le speranze suscitate dalle inconfessabili pulsioni “cripto-asburgiche” provocate dal progetto dell’Euroregione, svanito agli albori del nuovo millennio, il regionalismo a trent’anni di distanza, per la comunità italiana si presenta con un bilancio chiaroscuro. “Se la diffusione e il radicamento dell’identità istriana hanno preservato il clima di tolleranza distintivo della penisola e permesso agli esponenti italiani di occupare posizioni politiche di rilievo, nel tempo si è dimostrato un boomerang. Invogliando molti di loro a identificarsi innanzitutto come istriani. L’enfatizzazione dell’identità istriana ha eroso ulteriormente il numero di coloro che si considerano di nazionalità italiana, contribuendo al declino demografico”.
La riflessione è ovviamente immessa negli aspetti geopolitici cari alla rivista di Caracciolo e tocca anche il ruolo che Roma dovrebbe avere. L’analista auspica che l'Italia “recuperi una profondità strategica capace di trascendere la mera dimensione finanziaria” per “supportare proattivamente lo sviluppo della comunità di connazionali in Croazia e Slovenia”. L’articolo è anche corredato da una cartina geografica con i nomi delle località istriane e di Fiume proposti con la dicitura rigorosamente bilingue, omessa invece per Cherso, Veglia e Arbe che per Limes sono semplicemente Cres, Krk e Rab (sic!).
Stefano Lusa