La prima reazione, quando ci si trova in mano un libro di Bonifacio è quella di andare a cercare il proprio cognome e quello dei propri parenti o conoscenti. Ancora nessuna presentazione ufficiale per questo secondo volume del suo dizionario. Non è ancora il momento. Quando venne presentato il primo volume nella sede di via Torino, la sala era gremita più che mai. Bisognerà attendere un allentamento della pandemia e della ripresa delle attività pubbliche dell’Istituto Regionale per la cultura Istriano-fiumano- dalmata. Intanto però il libro è arrivato in libreria, mentre Bonifacio spera di poterne fare anche un terzo.
Uno spaccato prezioso e puntiglioso che porta a 4400 i cognomi censiti su un totale di circa 18.000. Per il presidente dell’Irci, Franco Degrassi si tratta di “un vero e proprio percorso storico attraverso le nostre terre, dal quale emergono con chiarezza i fatti e gli avvenimenti che hanno determinato nei vari periodo storici la modifica della loro composizione etnica”.
Il piranese Marino Bonifacio ha fatto oramai dello studio dei cognomi quasi una ragione di vita, un modo per interpretare la complessa storia della nostra regione. Proprio per questo non si è fermato a quelli di chiara origine italiana o latina, ma ha allargato lo spettro della ricerca anche ai cognomi di origine slovena, croata, tedesca, greca e albanese.
Lo scopo dichiarato è quello di “studiare umilmente” per riscoprire la storia e tramandarla alle future generazioni. Un ricco patrimonio che, aldiquà del confine, secondo Degrassi, non deve essere solo della minoranza italiana che “ne è portatrice e lo mantiene in vita”, ma di tutto il territorio.
Spulciando tra i cognomi raccontati da Bonifacio troviamo storie di famiglie che dopo il 1918 si sono rifugiate nel Regno dei Serbi Croati e Sloveni e di cognomi che dopo la Seconda guerra mondiale sono scomparsi dalle cittadine istriane. Significativo il dato su Pirano dove nel 1961 su 5452 abitanti ben 4705 erano nati da altre parti.
In sintesi, una serie di interessanti e curiose ricostruzioni sull’origine delle famiglie della nostra regione, dove la parte meno originale è proprio l’introduzione su cui pesa una stereotipata visione Ottocentesca, con tanto di riferimenti alle “nazioni storiche” e a “popoli senza storia”.
Stefano Lusa