“Avrò fatto una serie di errori di carattere amministrativo, ma mai con l’intento di trarre dei vantaggi personali” esordisce Rosanna Bernè accogliendoci nella sua casa, dinanzi ad un tavolo pieno di fascicoli, incartamenti, dossier e carteggi pronti a documentare le sue parole. “Non nascondo di aver sbagliato e mi assumo una parte di responsabilità, ma se non lo avessi fatto avremmo chiuso la scuola periferica in lingua italiana e Castel Bembo sarebbe andato in totale rovina” dice iniziando il suo racconto da quando nel 2008 prese in mano le redini del sodalizio vallese per guidarlo, due mandati, fino al 2016 quando emersero le prime avvisaglie sui debiti nei confronti dell’erario croato. “E’ vero questo è stato un mio errore, dovuto – anche se so che non può essere una giustificazione plausibile – al solito ritardo nell’erogazione dei contributi e dei fondi a sostengo delle Cominità degli italiani” ci dice l’ex presidente aggiungendo che per far fronte a questi ritardi e alla mancanza di liquidità e garantire nel contempo il normale funzionamento delle allora molteplici attività del sodalizio, prendeva dei prestiti dall’azienda del fratello, prestiti che una volta ricevute le sovvenzioni, restituiva.
“Ci sono stati prestiti forniti alla Comunità di Valle pure da altri soggetti giuridici per coprire le spese di progetti risalenti al 2005 e senza i quali ci avrebbero bloccato i conti” spiega la Bernè facendo capire che tutte le istituzioni interessate erano a conoscenza e concordi sui meccanismi adottati per far fronte a situazioni di emergenza. “Io ad esempio ho anticipato i soldi per eseguire i lavori di sondaggio e gli studi archeologici necessari per aprire il cantiere di Castel Bembo poiché gli interventi non erano stati preventivati e non avevano iniziale copertura finanziaria; attendere per mesi i mezzi ci avrebbe portato alla perdita dei permessi che stavano per scadere e a quella di centinaia di migliaia di euro” sostiene l’ ex dirigente aggiungendo che così è stato pure per altre iniziative: viaggi, stipendi dei dipendenti, il pagamento delle merende e dei pranzi per i bambini che ha portato a nuove iscrizioni nella scuola italiana che nel 2011 era a rischio chiusura.
“Sono stata accusata di abuso d’ufficio perché nello stanzino in cui operavamo nel periodo del restauro del Castello, c’era la segretaria dell’azienda di mio fratello, segretaria che da lui era pagata, ma – e questo lo sanno tutti- lavorava all’80 per cento per il nostro sodalizio” racconta ancora la nostra interlocutrice non mancando di esprimere la sua opinione pure su altri capi dell’imputazione come il presunto favoreggiamento per far ottenere l’appalto del restauro all’impresa Vallis nella quale era impiegata. “E’ vero che tra i nomi forniti all’Università popolare di Trieste per l’invito al Bando, ho fatto pure quello dell’azienda in questione, che è proprietà di un nostro connazionale e che alla fine ha vinto la gara perché la miglior offerente e l’unica disposta ad anticipare all’incirca il milione di euro necessario a far partire i lavori e attendere dagli 8 ai 12 mesi per avere i rimborsi. La Vallis alla fine ha completato la ristrutturazione per meno soldi rispetto a quelli preventivati e il risparmio è stato ridestinato, alle necessità delle altre Comunità” spiega la Bernè.
Tra i mezzi riassegnati, c’erano pure quelli per la pubblicazione di una monografia proprio su Castel Bembo, volume mai pubblicato facciamo notare. “E’ vero questo è un mio errore, ma il libro però c’e’, eccolo è qui” risponde senza esitare la Bernè mostrandoci il fascicolo e aggiungendo di essere pronta a farlo andare in stampa e rimediare così a questa mancanza. “Mia pure la colpa del non aver presentato i bilanci e per questo ho già pagato una sanzione” sostiene la nostra interlocutrice confidandoci di attendere con calma e fiducia i primi interrogatori da parte della Procura e così pure un eventuale futuro giudizio. “Se ho sbagliato, l’ho fatto in buona fede e sono pronta a pagare, ma sono orgogliosa del mio impegno volto alla rivitalizzazione di Castel Bembo che dopo anni d’incuria e abbandono è ritornato ai vallesi ” conclude Rosanna Bernè.
Lionella Pausin Acquavita