Foto: Radio Capodistria
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“La ricerca avviata agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso vuole essere un omaggio alla civiltà contadina del Buiese, una civiltà che si è trovata spesso ai margini della frontiera tra conservazione e rinnovamento del mondo rurale istriano ma che nei tentativi di sopravvivenza ha rappresentato il meglio dell’agro regionale”, ha raccontato Denis Visintin parlando del suo volume pubblicato dalla Società di studi storici e geografici di Pirano. Ad affiancare l’autore nel corso della serata il professore Furio Bianco che ha parlato del rigore scientifico e dell’impegno profuso nella ricerca che si avvale – ha ricordato- di una vasta documentazione. Al numeroso pubblico sono state poi presentate le recensioni di Kristjan Knez e Ivan Zupanc impossibilitati a presenziare di persona.

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Un volume- è stato detto- che ricostruisce i lunghi secoli di storia che caratterizzarono lo sviluppo della civiltà contadina ma che racconta pure della dimensione socioculturale illustrando la struttura demografica, l’organizzazione comunitaria, gli statuti e le normative che regolavano la vita della comunità e della famiglia. “Un periodo lungo perché la Serenissima ha lasciato l’impronta maggiore in questo territorio, un’ impronta paesaggistica che era visibile fino a 20, 30 anni fa; adesso sono rimasti forse solo gli impianti specializzati, sono scomparse le colture promiscue ed i terrazzamenti; comunque vite e olivo e qualche gelso che erano diffusi particolarmente sotto Venezia sono rimasti”, ci ha detto Denis Visintin sottolineando come “l’agricoltura, il paesaggio, il territorio sono per noi identitari perché ci immedesimiamo in questo”.

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“La nostra gente si era sempre dedicata all’agricoltura, magari faceva anche altre cose ma l’agricoltura primeggiava; per noi è una cosa in cui ci riconosciamo tutt’ora”, ha affermato ancora Visintin ed ha concluso: “Questo libro va letto per ricordare quello che siamo, quello che siamo stati, da dove proveniamo; sappiamo da dove proveniamo, chi siamo ma non sappiamo dove andremo e proprio perciò questo passato va conservato”. (lpa)