"Prescelta a campo santo sotto il Regno Italico questa occidentale pendice del colle di S. Canziano la prima salma accolse li 27 maggio 1811".
Pochi forse di quanti visitano oggi il cimitero di Capodistria si accorgono della scritta sulla fronte della cappellina che si trova nella parte alta di questo luogo del ricordo e della memoria. Tra i vialetti, tombe di famiglie importanti, protagoniste della società istriana a cavallo fra Otto e Novecento, di personaggi come il patriota e storico Carlo Combi, il poeta Tino Gavardo, il pittore Bartolomeo Gianelli, lo scrittore Pier Antonio Quarantotti Gambini. Da poco la tomba dove riposa l'autore del romanzo "La rosa rossa", morto a Venezia nel 1965, è stata presa in carico dall'Irci, l'Istituto regionale per la cultura istrano-fiumano-dalmata che ha sede a Trieste, e un mazzo di fiori è comparso a ingentilire l'austera sepoltura, fino a non molto tempo fa invasa dalle erbacce. Malinconico il destino del pittore Gianelli, un artista che la città natale ha riscoperto, per merito soprattutto dello storico dell'arte Edvilijo Gardina nel 1994, in occasione del centenario della morte, e presto nuovamente dimenticato. L'onere del mantenimento della tomba, indicata da una semplicissima lapide sul muro di cinta, è stato assunto in questo caso dal Consolato generale d'Italia a Capodistria. Ci sarebbe bisogno di qualche piccolo intervento per darle un aspetto più decoroso, ma almeno il canone viene onorato, insieme a quello di una ventina di altre sepolture cui provvede il Consolato generale, per evitare il rischio di ulteriori rimozioni di lapidi e monumenti. Diversamente da Isola e Pirano, a Capodistria manca ancora un provvedimento di tutela delle tombe della comunità italiana. Tante sono ormai scomparse, marmi e graniti dalle superfici levigate e brillanti al posto della pietra ingrigita dal tempo. Pezzi di memoria che si sgretolano nell'indifferenza di una città di oggi troppo diversa dalla città di ieri.
Ornella Rossetto