Sono passati ventisette anni ormai dalla fine del conflitto in Croazia e Bosnia ed Erzegovina, ma il dopoguerra sembra non finire mai. Tra Zagabria e Belgrado vige una sorta di guerra fredda, caratterizzata da scambi di atti d'accusa per i crimini commessi durante il conflitto. Per non parlare del nodo dei dispersi sulla cui sorte la Croazia chiede chiarezza. A innalzare le tensioni è in particolare la legge serba sulla giurisdizione universale con la quale Belgrado si è arrogata il diritto di perseguire i presunti autori di crimini di guerra commessi sui territori di altri Paesi da cittadini di altri Stati.
Così l'Alta Corte belgradese ha deciso che il 14 ottobre abbia inizio il processo contro quattro piloti dell'aeronautica militare croata accusati di aver colpito una colonna di profughi serbi sul territorio della Bosnia ed Erzegovina nell'agosto del 1995. Secondo gli avvocati difensori non c'è alcuna prova che i quattro piloti croati chiamati in causa abbiano effettuato l'incursione. Ma la Croazia ne fa una questione di principio. Come ha confermato il premier Andrej Plenković, per Zagabria gli atti d'accusa serbi riferiti a presunti reati commessi da cittadini croati fuori dal territorio della Serbia semplicemente non esistono.
La Croazia ha inoltre altre frecce al suo arco, quelle relative ai presunti crimini di guerra commessi sul territorio croato da cittadini serbi durante il conflitto. Così la Procura di Spalato ha sollevato ieri l'atto d'accusa nei confronti di tre cittadini serbi per crimini, ovvero pesanti maltrattamenti, nei confronti dei prigionieri di guerra croati commessi a Knin nel 1991. I tre sospettati all'epoca militavano nelle file delle forze paramilitari serbe, che avevano sotto il loro controllo parte dell'entroterra dalmata. La Procura ha chiesto inoltre che i tre imputati vengano processati in contumacia.
Dario Saftich - La Voce del Popolo