R: “La Croazia ha vissuto questo mondiale di calcio con euforia. Penso si possa usare tranquillamente questo termine. La stampa ha parlato addirittura di trance di tutta la nazione. Ieri quando i giocatori sono tornati da Mosca l’autobus ha impiegato ore per arrivare in piazza centrale. Tutta la città, praticamente, oltre mezzo milione di persone, erano in strada per salutare i giocatori. Durante tutto il mondiale le banche hanno registrato un aumento dei prelievi del 30%, la l’azienda PIK ha venduto oltre 9 milioni di čevapčiči. Qual è stato l’uso politico di questo momento? Sicuramente il ruolo più importante l’ha avuto il presidente Kolinda Grabar Kitarović, che ha seguito in Russia la maggior parte delle partite. Si è vista entrare negli spogliatoi subito dopo gli incontri, salutare i giocatori. Si è presentata sempre in maglietta della nazionale, sia durante la partita con l’Inghilterra sia durante quella con la Francia per sostenere la squadra. Ognuno, poi, fa le analisi che vuole di questo comportamento. La stampa si è divisa tra chi ha l’ha applaudita per il sostegno alla squadra per essere una presidente vicina al popolo e chi invece ha detto che era già in campagna elettorale per le presidenziali dell’anno prossimo. Il governo, che inizialmente è stato un po’ più cauto, alla fine ha abbracciato anch’esso l’euforia che aveva invaso il paese. Abbiamo visto, dopo la vittoria contro l’Inghilterra, il consiglio dei ministri, premier Andrej Plenković compreso, riunirsi con addosso la maglietta della nazionale. Non so se si è trattato di surfare su una ondata molto popolare o di vero senso di appartenenza e di orgoglio per una nazionale che comunque ha raggiunto un risultato notevole. Il premier ha promesso, dopo la vittoria con l’Inghilterra, maggiori investimenti nello sport, la costruzione di uno stadio capace di ospitare eventi di postata internazionale. La politica ancora una volta ha saputo saltare al volo sul treno della nazionale. In questo senso contano molto gli appuntamenti elettorali del prossimo anno ed anche la popolarità del governo che era in calo”.
D: Festeggiamenti a cui non è mancato il discusso cantante croato Thompson.
R: “Thompson è stato invitato a salire sull’autobus dei calciatori, a sfilare con loro nel centro di Zagabria. Una scelta controversa. Ricordiamo che alcuni dei suoi concerti sono stati vietati in Austria ed in altri paesi, proprio per quella sua retorica nazionalista ed oserei dire guerrafondaia, comunque molto ostile. Il fatto che siano stati i calciatori stessi a volerlo sull’autobus non è stato un bel gesto. Fino a quel punto, anche se alcune canzoni di Thompson erano cantate, assieme alle altre, durante le partite della nazionale, però personalmente avevo voluto credere, che la nazionale, che le vittorie dei “vatreni”, degli undici ardenti croati, stessero significando un senso di unità, di appartenenza, come si vede anche in altri paesi, e che non si sfociasse necessariamente nel nazionalismo croato. Il ruolo dato a Thompson macchia un po’ questa idea”.
D: Festeggiamenti “pacati” in Erzegovina, dove non sono mancati improperi all’indirizzo della Bosnia.
R: “Purtroppo l’Erzegovina si situa sempre in questo rapporto conflittuale tra Croazia e Bosnia e l’atteggiamento nei suoi confronti non è stato dei più corretti. Le autorità croate, però, non hanno soffiato sul fuoco, non hanno cercato di legare i croati di Bosnia alla Croazia, almeno questo messaggio da Zagabria non è arrivato”.
D: Questa comunque è la nazionale dei croati: quelli di Croazia, ma anche di Bosnia e quelli sparsi nel mondo.
R. “La nazionale parla a tutti i croati e sono tanti quelli di Bosnia, ma anche quelli che vivono altrove. Mi è capitato di parlare con croati immigrati all’estero, perché l’emigrazione dalla Croazia continua, con dei giovani che hanno visto la partita da Monaco di Baviera, piuttosto che da Berlino o dalla Scandinavia. Non so se è inevitabile che il calcio rimi con il nazionalismo in Croazia e nei Balcani. Questa volta è successo. I giocatori ne sono un po’ colpevoli, ma le autorità si sono comportate in modo più o meno corretto. Né dalla Grabar Koratović né da Plenković sono arrivati messaggi provocatori. Il risultato è una Croazia molto contenta, che ha dimenticato i suoi problemi e che pensa solo al calcio. La punta positiva che mi sento di notare è che nonostante la sconfitta contro la Francia non ci sono stati episodi di violenza, scontri, ruberie e quant’altro. C’è stata una festa tutto sommato corretta e per quanto riguarda i messaggi sulla Bosnia e i messaggi nazionalisti effettivamente vanno registrati come ogni volta".
D: E per i messaggi provocatori c’ha pensato Vida, il roccioso pilastro difensivo.
R: “Il messaggio all’Ucraina ed il video in cui dice “Belgrado brucia” fanno più che altro capire quello che è lo spessore culturale di Vida, non c’è forse da stupirsi. Mettiamo sulle spalle di calciatori la responsabilità di un comportamento politico che a volte non hanno la capacità di assumere. Certo che né il mondiale né i Balcani avevamo bisogno di questi messaggi, ma Vida è Vida”.
D: Eppure i Balcani hanno fatto il tifo abbastanza compattamente per la Croazia.
R: “Sì, e quello è stato un bel massaggio arrivato anche da parte del tennista serbo Novak Djoković, che nel suo paese ha incassato le critiche del partito di Šešelj. È bello quando i Balcani riescono ad unirsi. Ora non vorrei parlare di fratellanza slava, ma è bello quando un paese della regione riesce ad arrivare così lontano ai mondiali, vale la pena fare tutti il tifo per quel paese. Un bel messaggio e proprio per queste sbavature come quelle di Vida o Thompson sull'autobus, sono un peccato perché questi mondiali hanno mostrato anche belle cose ed avrebbero potuto, ma non dico sia tutto da buttare, far avanzare il dialogo in regione o comunque ravvicinare un po' le popolazioni”.
Stefano Lusa